Il gravoso e necessario valore della testimonianza

Al MAMbo di Bologna, un percorso installativo di uno dei più importanti artisti viventi ci costringe nuovamente a fare i conti con l’orrore della nostra storia, una storia di vittime la cui voce ancora oggi grida e pretende di essere ascoltata e rammemorata.

Nell’immensa deriva postmoderna, nel trionfo del perpetuo slittamento dei significanti autoreferenziali vincolati all’estetica edonistica, la grande sacrificata è da diversi decenni la Storia; si tratta della Storia come vettore di significazione in grado di dare profondità e valore morale al presente, in altri termini la dimensione testimoniale che per tutta la modernità ha caratterizzato la ricerca delle avanguardie e che nell’odierno orizzonte massmediale e consumistico ha declinato la sua funzione a favore di un appagamento sensoriale delle logiche dello spettacolo.
Dare voce alle vittime della Storia, strappare seppur un barlume di memoria dal rischio dell’oblio, è una preoccupazione di una manciata di artisti oggigiorno, che infatti appaiono naif e datati, legati come sono a una concezione dell’arte tramontata col Novecento. Dinanzi al sacrifico della Storia e al dovere della testimonianza, il cinismo contemporaneo ha proposto numerose formule di neo-storia, ovvero traduzioni dell’orizzonte etico in appagamenti superficiali legati al valore meramente estetico: il godimento delle contemporanee narrazioni pseudo-storiche infatti celebrano un passato simulacrale, mai esperito, che possa sfruttare della Storia solo la sua dimensione seduttiva senza metterla in connessione con le esigenze del presente.

Spesso si tratta di una storia celebrativa, iperestetizzata, manierista, che caratterizza numerose narrazioni cinematografiche e televisive, una neo-storia che argina invece il dovere di rendere giustizia a chi, non troppi anni fa, è stato vittima della catastrofe storica e che oggi è divenuto un ricordo di poco conto, quasi un pedante macigno per l’avvenire. Da qui al ritorno di tendenze razziste e intolleranti, alimentate dal clima di frustrazione sociale collettivo, il passo è brevissimo, e gli artisti che ancora credono al valore veritativo della loro produzione e che non si appagano dell’esibizione fine a se stessa della loro produzione, assumono oggi un incarico millenaristico, gravoso come non mai.

Tra questi artisti c’è Christian Boltanski, al quale la città di Bologna ha deciso di dedicare un ampio progetto itinerante che caratterizza l’intero 2017 e che vede disseminate nel capoluogo emiliano numerose opere e installazioni dell’artista francese; questo progetto, curato da Danilo Eccher è che proseguirà fino a novembre, ha il titolo Anime. Di luogo in luogo, e trova uno dei fulcri essenziali nelle sale del Museo d’arte moderna di Bologna. Qui, nel corso della durata del progetto, all’interno della Sala delle Ciminiere dell’ex forno industriale riqualificato negli ultimi anni, i visitatori potranno immergersi in un’esperienza sinestetica unica; visioni, suoni, ma anche odori partecipano allo shock che l’anima del fruitore prova al cospetto di fotografie sfocate e di oggetti appena illuminati, e che lo mettono in contatto con una Storia troppo dura e spietata da ricordare e sopportare, ovvero l’orrore dello sterminio nazista.
Un macigno, una montagna questa memoria che tenta attraverso l’arte di tornare in superficie, la stessa montagna di sette metri che svetta al centro del percorso labirintico della sala e che ha il nome di Volver: splendente, lucida e preziosa, ma anche ingombrante e inquietante, come la Storia che pretende di forzare i limiti della passione per il presente, un presente smemorato e ripiegato su se stesso. Il labirinto di Boltanski cerca di far tornare vigile l’attenzione di ciascuno di noi, violenta la nostra sensibilità in vario modo nel corso dell’installazione ambientale Regards, che presenta immagini del repertorio documentativo-fotografico lievemente illuminate da luci fioche e intermittenti.

Boltanski, classe 1944, si è relazionato in maniera ossessiva con gli orrori dei campi di sterminio attraverso il recupero di materiali e testimonianze dei membri della sua famiglia, perciò oltre al valore storico la sua ricerca artistica ha un valore metafisico perché proietta il suo essere a ciò che lo ha eternamente preceduto: recuperare il dolore delle vittime della disgrazia della modernità, essere un ultimo estremo traino e l’estrema ancora della sofferenza accumulata, e invece di rimuovere questa sofferenza e questa memoria come ha preferito fare la cultura postmoderna tardo-capitalsitica, richiamare l’attenzione sulla morte e sul silenzio come ciò che circonda la nostra esistenza da sempre.
Quella di Boltanski è un’esperienza al limite della sopportazione fisica e intellettiva, che ammicca alle più recenti modalità di fruizione dell’arte ma che disdice nello stesso tempo le logiche classiche della contemporaneità: la cupezza di questo viaggio appare inattuale, impossibile da sincronizzare alla nostra epoca, come inattuale appare l’esigenza di non dimenticare. Per questo è un viaggio prezioso.

La mostra continua:
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni, 14 – Bologna
fino al 12 novembre
orari: martedì, mercoledì, domenica e festivi h 10.00 – 18.00; giovedì, venerdì e sabato h 10.00 – 19.00; chiuso il lunedì

La Città di Bologna presenta
Regards e Volver
installazioni parte integrante di Anime. Di luogo in luogo
progetto speciale a cura di Danilo Eccher per l’anno 2017 dedicato a Christian Boltanski