Azione e reazione

Al Lucca Center of Contemporary Art, fino a San Valentino, sono in mostra le opere di importanti artisti italiani che animarono la Ville Lumière ai primi del Novecento.

I primi trent’anni del Novecento sono stati l’età dell’oro delle arti figurative europee e la capitale indiscussa di quel periodo fu indubbiamente Parigi (affiancata, dopo la Prima guerra mondiale, da Weimar e Dessau, sedi del Bauhaus; e già negli anni di guerra, da Mosca e Pietroburgo, culle di Costruttivismo e Suprematismo). Non a caso dalle rive della Senna passò Tatlin (nel ’14) e scelse la città quale dimora d’elezione Constantin Brâncuși; qui nacquero i Fauves e il Cubismo; e vi soggiornarono molti tra i futuristi italiani – da Umberto Boccioni a Mario Sironi (in seguito fondatore di Novecento Italiano, figlio di quel “ritorno all’ordine” che, sotto i paludamenti del classicismo, in Italia sapeva di fascismo, magniloquenza e reazione).
A Parigi trascorsero periodi più o meno lunghi anche gli artisti esposti al Lucca Center of Contemporary Art, dai fratelli De Chirico a De Pisis (che vi si trasferirà nel ’27) fino a Renato Birolli (che, però, vi giungerà solo nel 1947, dato che nasce nel 1905). E qui risiede uno dei problemi di questa mostra che, è bene sottolineare, vanta opere di grande importanza e che hanno fatto la storia dell’arte. Ossia, la grande differenza di età, e la distanza stilistica oltre che di scelte personali dei vari artisti in esposizione.
Se, infatti, alcuni aderirono sicuramente al “ritorno all’ordine”, e fecero parte del crogiuolo artistico parigino tra gli anni 10 e la Prima guerra mondiale, altri rifuggirono da un simile approccio, continuando nelle proprie sperimentazioni e percorsi, e altri ancora non vi aderirono anche per ovvie ragioni anagrafiche.
A questo punto risulta ostico per lo spettatore trovarsi di fronte, nella stessa sala, a tre eccellenti De Pisis – artista che non si può far ascendere a nessuna scuola e che, nel tratto spezzato, ricostruisce universi di senso che vibrano di consonanze emotive – e un Renato Birolli (Donna e luna, 1947), i cui riferimenti à la manière di Picasso sono fin troppo evidenti. Mentre un altro De Pisis, Il ragazzo con Cocò, langue in un diverso ambiente circondato da opere aliene al suo stile. Per non parlare dell’antipatia che nutriva Savinio per De Pisis, raccontata con mirabile garbo da Domenico Naldini su Il Manifesto, prova che a Parigi non si riunirono animi affini e che affiancare i due artisti è fare uno sgarbo ai due uomini – e, soprattutto, alla sensibilità proustiana di Filippo.
Anche un interessante Fausto Pirandello del periodo cubista (Il libro verde, 1959) è fuori luogo se disposto accanto a diversi Mario Tozzi, tutti lontanissimi sia per lo stile che per l’originalità. Pirandello, del resto, è sempre rifuggito dalla rappresentazione biecamente classicista, alla quale si ispirano gli artisti italiani del “ritorno all’ordine”. Sia a livello di scelte stilistiche, con la sospensione metafisica e malinconica delle sue figure, che per l’uso del colore che travalica il qui e ora (famosi, ad esempio, i suoi grigi) per dispiegarsi in composizioni di immagini filtrate dal ricordo. Ma anche a livello di poetica, come quando definisce un bluff la verosimiglianza della ritrattistica rinascimentale.
E ancora, visto che gli artisti in mostra, in gran parte, sono esponenti di movimenti d’avanguardia, perché non fare un discorso serio su quelle stesse avanguardie accorpando, ad esempio, le pregevoli opere metafisiche di Savinio e del fratello De Chirico? Pensiamo, di quest’ultimo, a Le muse inquietanti (1950) e Archeologi (1961), che però sono di datazione posteriore rispetto al “ritorno all’ordine” o al periodo parigino; e a Le navire perdue (1928) e L’isola approdata (1950) di Savinio (che, simili nello stile e nel soggetto – quell’universo di giochi infantili abbandonato sulle rive greche, stilema di Savinio che vi rilegge la propria infanzia perduta – sono stati eseguiti a distanza di oltre vent’anni l’uno dall’altro).
Si può, inoltre, rintracciare – nelle diverse sale – un percorso coerente delle opere di Severini, che vanno da un buon esempio del periodo futurista con Alberi+Case (1913) a un’opprimente Salita al Calvario del periodo fascista (1932/33), fino a un ritorno a geometrie cubiste e motivi decorativi ne Le chat e le poisson (1948).
L’esposizione, quindi, merita per le singole opere, ma per ricostruire percorsi di senso occorre forse una conoscenza approfondita della storia dell’arte o un buon libro sulle avanguardie del Novecento.

La mostra continua:
Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art
via della Fratta, 36 – Lucca
www.luccamuseum.com
orari: da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle 19.00
(chiuso il lunedì)

De Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris
a cura di Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni
da sabato 17 ottobre a domenica 14 febbraio 2016

organizzazione Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art
una produzione MVIVA S.r.l.
con il patrocinio di Regione Toscana, Comune di Lucca, Opera delle Mura, Camera di Commercio di Lucca, Confindustria Lucca, Confcommercio Province di Lucca e Massa Carrara, Confesercenti Toscana Nord e Confartigianato Imprese Lucca
con il supporto di Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione Banca del Monte di Lucca e Gesam Gas+Luce