Politico e personale

Alla Galleria Continua, ultimi giorni di esposizione per tre artisti che riflettono sulla nostra contemporaneità, a livello sociale o più intimo, Kader Attia, Leila Alaoui e Nedko Solakov. Per uno sguardo sul mondo che non è mai narcisistico.

L’Illuminismo e, prima ancora, l’avvento della classe borghese, in arte, hanno sicuramente plasmato le premesse per un nuovo genere di artista, più calato nel suo vivere quotidiano, impegnato nei rivolgimenti di quelle classi subalterne che, prima, non potevano nemmeno aspirare a entrare come soggetti in un quadro – a meno di essere carne da macello in una battaglia o folla anonima o ossequiante. Non occorre scomodare il Delacroix de La Liberté guidant le peuple, basta pensare alle scene (anche in senso teatrale) di Hogarth, che ritraevano con minuzia la vita borghese, per rendersi conto che, chiuso (o socchiuso) il capitolo delle committenze papali e reali, l’artista moderno poteva finalmente aprirsi a una dimensione più sociale e, ovviamente, politica.
Ecco, quindi, che alla Galleria Continua di San Gimignano, espongono due artisti che hanno calato la loro arte nelle profonde contraddizioni del presente, fecondando un’estetica mai autoreferente con le ibridazioni di una multiculturalità che porta con sé problematiche ma anche arricchimento. 

Il franco-algerino Kader Attia espone la personale, Reflecting Memory, che si confronta con il tema della riparazione, ossia del modo di riappropriarsi di una mancanza, fisica, emotiva o collettiva. Partendo dalla problematica dell’arto fantasma, propone innanzi tutto un video che esplora il dolore fisico provato dai soggetti che hanno subito un’amputazione, per allargare il discorso a quelle ferite che ancora oggi affliggono intere popolazioni (per fare un esempio: la denazificazione, se avvenuta e fino a che punto, ha portato a un riesame personale e collettivo? E come può un popolo superare una tale mutilazione, considerando che il Nazismo era una forma totalizzante di regime, che investiva ogni aspetto della vita del popolo tedesco?).
Interessanti anche i due collage Work on memory #1 e #2, in quanto mettono a confronto lo sfregio su un volto umano con quello su un’opera d’arte – come, ad esempio, la testa di una statua greca. Mentre la bellezza puramente estetica della statua sembra rimanere intatta e, anzi, la mancanza denota antichità e, quindi, autenticità; il volto umano pare irrimediabilmente compromesso dall’amputazione o dalla cicatrice, irredento.
Attia, del resto, non cede a compromessi e la sua è un’arte perturbante. Gli animali impagliati accostati a strumenti di distruzione naturale (come la sega elettrica), o l’utero materno/tunnel morbidoso nel quale il visitatore si trova a camminare, insieme protetto eppure in pericolo (a causa delle sporgenze acuminate), non creano quel senso di pacificazione con il reale che, spesso, il visitatore attende dall’arte, bensì un crescendo di disagio che implica un ragionamento, una presa di coscienza brechtiana.
E ancora, Le grand miroir du monde, che campeggia nella platea dell’ex cinema che ospita Galleria Continua, nella sua frammentazione ripropone quella di un mondo che sembra sempre più diviso e non pare rammentare oltre la comune radice, ossia l’appartenenza allo stesso genere umano. Piccolo ma incisivo, anche il discorso di Sans Titre, un’opera che nell’illusione di una presenza materica (ottenuta con il semplice gioco di luci e ombre), dimostra la fallacia della nostra esperienza sensibile: laddove cercheremmo la forma e la sostanza, vi è il vuoto – la mancanza.

Su di un piano decisamente più lieve, la bella mostra fotografica in ricordo della giovane artista franco-marocchina Leila Alaoui, uccisa mentre portava avanti un progetto per Amnesty International in Burkina Faso. Ad aprire l’esposizione la lettera che la sorella Yasmina ha scritto, immaginando le parole che avrebbe usato Leila per perdonare il suo assassino. Al di là del grande senso di civiltà dimostrato dalla famiglia, che ha anche creato una Fondazione con il suo nome per sostenere l’impegno artistico in favore della dignità umana, il lavoro di Alaoui denota, soprattutto nella serie di ritratti, Les Marocains, una sensibilità coloristica forte unita a una compartecipazione emotiva con il soggetto che traspare non solamente dalla capacità di scattare foto che sembrano immergere l’occhio dello spettatore nell’anima del soggetto, ma anche nel restituirne la ricchezza culturale attraverso quelle pieghe, quei gioielli, quei tessuti che assurgono essi stessi a protagonisti, come nelle tele di un Velázquez.

A chiudere il cerchio, il bulgaro Nedko Solakov, con un delicato discorso ad acquerello, Stories in Colour. L’anno scorso, sempre a Continua, avevamo visto i lavori di José Antonio Suárez Londoño, quei suoi quaderni che raccontavano, attraverso piccoli disegni e pensieri in libertà, un intero anno di vita (personale, ma anche collettivo, dato che affrontavano temi e problematiche con le quali l’artista veniva in contatto giorno dopo giorno). Solakov, puntando soprattutto su una sua dimensione più personale (ma non priva di riferimenti ai cambiamenti sociali e politici che stanno investendo anche i Paesi ex comunisti), racconta un piccolo universo con i colori delicati dell’acquerello, con una nota fanciullesca che si sposa perfettamente al mezzo e un’ironia dissacrante che ne smitizza le forme. Tre artisti, tre universi, un luogo.

L’esposizione prosegue:
Galleria Continua
via del Castello, 11 – San Gimignano (SI)
fino a domenica 23 aprile
orari: da lunedì a domenica ore 10.00/13.00 – 14.00/19.00

Kader Attia
Reflecting Memory

Leila Alaoui
Je te perdonne

Nedko Solakov
Stories in Colour