Pensieri in viaggio

La mostra Arboranthropos ovvero Pan lascia la città dell’artista Mauro Sgarbi sarà ospitata giovedì 7 novembre nello studio di architettura di Roma Mp2a.

«C’è qualcosa di Hieronymus Bosch nella pittura surrealista di Mauro Sgarbi, e c’è perfino qualcosa del Tasso. E di Shakespeare», scrive Patrick Gentile.
Perché l’universo lirico di Sgarbi, delineato da contorni netti e illuminato da colori sgargianti, quasi psichedelici, è fatto di paesaggi naturali, piane distese al sole, ampi limpidi cieli azzurri, nodosi tronchi antropomorfi. Un universo favolistico e mitologico, lontano dal flusso del tempo. Un “altrove” trasognato, immaginario, ma assolutamente materico, concreto, tangibile.
15 quadri di questo giovane artista sono in mostra il 7 novembre negli spazi dello studio di progettazione Mp2a – Maurizio Pappalardo Architetti Associati, di Roma, conosciuto per la realizzazione di architetture integrate con il paesaggio ed opere ad alta qualità ambientale.

Ci può spiegare il titolo della mostra?
Mauro Sgarbi: «Arboranthropos è l’unione della parola latina arbor che significa albero e la parola greca anthropos che significa uomo. È l’unione dell’Uomo alla Natura ma anche la separazione dell’Uomo da essa.»

C’è dunque un rimando alla classicità nella sua visione della Natura?
M.S.: «Da ciò che ci ha lasciato la storia, capiamo che durante il periodo classico emerge l’Uomo, la scoperta dell’Io. I primi grandi filosofi sono proprio di questo periodo. Ed è proprio in quest’epoca che l’uomo comincia a sentirsi centro del mondo. Quindi è forse il momento in cui c’è l’effettivo abbandono della natura e lo spostamento verso la polis. Nel periodo attuale, dove ormai la natura è sottomessa all’uomo e rischia addirittura di sparire, sentiamo nuovamente il bisogno di essa. Questo ciclo mi affascina: nascita, separazione, distruzione, riunione.»

Come definirebbe la sua arte?
M.S.: «La mia arte è prettamente Surrealista. Anche se mi piace dare una leggerissima contaminazione Pop.»

Quali artisti e quali opere, non solo dell’arte pittorica, hanno influenzato i suoi lavori?
M.S.: «Sicuramente Dalì, Kandinskij, Kush, Klimt, Van Gogh e Hiroshige Utagawa. Essendo anche un appassionato di cartoni animati e fumetti, sono estremamente affascinato da Andrea Pazienza, Moebius e Hayao Miyazaki.»

Quando e come ha iniziato a vedersi come un artista?
M.S.: «Da piccolo ero affascinato nel guardare mio padre disegnare e dipingere. Creare immagini è una cosa che fa parte di me, una mia necessità. Se questo può considerarsi come essere un artista, allora la risposta è: da sempre.»

Da dove trae maggiormente ispirazione?
M.S.: «Dalla natura che mi circonda e dalle opere altrui. Adoro andare alle mostre di arte e ai musei.»

Qual è l’ultima opera che l’ha ispirato?
M.S.: «Sono stato da poco a New York dove ho visitato il Metropolitan Museum e il MoMA. Ci sono talmente tante opere d’arte in questi luoghi che sembra quasi che siano tutti quegli artisti a guardare te piuttosto che il contrario. Ma un luogo che mi ha molto colpito ultimamente è stata la stanza di Livia a Palazzo Massimo in Roma.»

Come fa a capire se un’idea è buona?
M.S.: «Riesco a capire se un’idea è buona quando, dopo aver buttato giù gli schizzi preparatori per ciò che avevo pensato, quegli schizzi mi convincono.»

L’Oriente nella sua biografia ha un ruolo importante: oltre ad essere nato in Malesia, ha trascorso lì lunghi periodi. E nella sua arte che posto occupa?
M.S.: «Ho vissuto i miei primi dieci anni di vita nel SudEst asiatico. Indubbiamente questo ha molto contribuito alla mia formazione come essere umano che, artisticamente parlando, si sente nella poetica. Ad esempio, nelle mie opere non c’è una vera percezione di ciò che è il bene e ciò che è il male, distinzione che invece è una caratteristica molto occidentale. Quello che cerco di rappresentare è più una sospensione dove ci sono diversi punti di vista e interpretazioni, molto più simile ad una visione orientale.»

L’impatto materico del colore con cui lei realizza le sue opere è impressionante: compatto, nitidissimo, vivido. Ma cos’è il colore per lei?
M.S.: «Il colore per me è una forma di comunicazione empatica, che contribuisce a creare il climax che vorrei il fruitore percepisse quando si pone in relazione con il mio dipinto.»

È dunque molto importante per lei la relazione fra la sua opera ed il pubblico?
M.S.: «La realizzazione di un’opera nasce da un pensiero. Il pensiero è difatti il desiderio di comunicare al mondo ciò che si ha dentro, i propri sentimenti in quel preciso instante. È giusto che ognuno abbia la propria interpretazione nel leggere un quadro, ma quando qualcuno lo interpreta nel modo in cui io l’ho visto, è di una enorme soddisfazione.»

La sua è una tecnica mista: olio su tela, acrilico su tela, acrilico su cartone, pastelli su carta. Come e quando decide che tecnica usare?
M.S.: «La tecnica la scelgo in relazione a ciò che voglio raccontare. Ogni specifica tecnica aiuta ad enfatizzare l’ambiente in cui desidero il fruitore si immerga. Cerco sempre di rappresentare un viaggio: la tecnica aiuta a rendere più credibile quel viaggio.»

Quali sono i parametri per giudicare e valutare un’opera d’arte?
M.S.: «Per gli addetti ai lavori sono grandezza, tecnica e coefficiente dell’artista. Per me la bellezza e ciò che comunica.»

Quale dei suoi quadri è quello che più le piace?
M.S.: «Ogni quadro è ovviamente legato ad un momento della mia vita, quindi provo affetto per ognuno di essi. Quello che però mi piace sopra tutti forse è Power of Humility

Le dispiace staccarsi da un pezzo che ha venduto?
M.S.: «Si, molto. Dipingo con sentimento e ogni mio quadro ha dentro una parte spirituale di me. Chi acquista un mio dipinto non prende soltanto un oggetto, ma anche un pezzo di me.»

In un mondo in cui siamo di continuo stimolati dalle immagini, che ruolo ha oggi la pittura?
M.S.: «Quando non esisteva la macchina fotografica la pittura tendeva a rappresentare il mondo. Gli artisti maggiormente apprezzati erano quelli che riuscivano a rappresentare la realtà nel miglior modo possibile. Con l’avvento della fotografia e del computer invece questa necessità è venuta meno. Ma quando si sta davanti a un dipinto si percepiscono quei piccoli o anche grandi difetti dovuti a un lavoro manuale che conferisce l’anima vera ad un’opera. Ed è questa parte spirituale che non potrà mai tramontare nella pittura. Quando guardo un quadro di un grande artista del passato, lo immagino davanti a quella tela, con i colori in mano, intento nel suo lavoro. Quindi poi cerco di capire cosa voleva comunicare e poi entro nella visione del dipinto. La pittura è ancora un potentissimo mezzo per far viaggiare i pensieri.»

La mostra avrà luogo:
Mp2a – Maurizio Pappalardo Architetti Associati
via Buonarroti, 30 – Roma
giovedì 7 novembre, ore 19.00