Icaro non vola più

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma accoglie fino al 27 gennaio la mostra Paul Klee e l’Italia, un percorso di un centinaio di opere che svela nuovi indizi sul rapporto dell’artista con il Bel Paese.

L’obiettivo ambizioso che Mariastella Margozzi e Tulliola Sparagni si pongono con la mostra Paul Klee e l’Italia, da loro curata, è molto chiaro: individuare le influenze che i soggiorni italiani hanno determinato nell’opera del celebre artista. Un’analisi tematicamente definita, ma difficilmente perseguibile se si considera che Paul Klee fu astrattista fedelissimo al motto «L’arte non imita il visibile, ma rende visibile»: per questo i suoi omaggi all’Italia – in particolare alle città di Roma, Firenze e Napoli, senza dimenticare però Genova e i luoghi siciliani dove villeggiò – non si traducono in rappresentazioni identificabili, bensì in segnali segretamente innestati nelle trame delle opere, indizi che vanno colti e decodificati attraverso una comparazione minuziosa tra la biografia del pittore e la sua produzione.

Il percorso espositivo segue ordinatamente la cronologia dei viaggi di Klee in Italia. La prima sala – dunque il primo soggiorno – è datata 1901: a questo anno, e a quelli immediatamente successivi, risale il corpus delle Invenzioni, incisioni su zinco che rivelano legami profondi con la cultura italiana: i rimandi all’arte classica, attraverso un rimaneggiamento in chiave grottesca delle forme armoniche di allora e i chiari riferimenti paleocristiani, lega la sensibilità di Klee al contatto con Roma; Napoli si cela dietro al Comico, rappresentato come citazione delle maschere antiche e barocche poi rivisitate nella Commedia dell’arte; tra tutte le Invenzioni colpisce l’Eroe con l’ala, un Icaro moderno, mutilato e comunque imponente, icona dell’uomo contemporaneo e delle sue fragilità.

È questa la sala con la maggior coerenza tematica, in cui è possibile percepire con forza l’impatto delle città italiane visitate da Klee sulla sua produzione artistica (anche al di fuori della serie Invenzioni, come in Croci e colonne, omaggio alla Capitale e al suo stile architettonico). Già nella seconda sala l’impronta culturale specifica dello Stivale svapora, assorbita dall’evidenza degli stimoli colti altrove, nell’esperienza del Cavaliere Azzurro e nell’incontro con i Cubisti francesi. Negli stessi anni però – siamo tra il 1911 e il 1915 – Klee non resta insensibile alle sollecitazioni del Futurismo italiano, che diventa perno di questo snodo espositivo, sulla base della condivisione da parte di Klee di tematiche care ai futuristi, quali l’importanza delle linee nella costruzione dell’opera e l’architettura urbana come paesaggio artistico. Inevitabile il richiamo all’elemento bellico – con la miniatura Astratto-guerresco l’artista riesce nella splendida impresa di rappresentare la guerra interiore come conflitto reale – e alla cultura meccanica – Con la lampada a gas offre allo spettatore un esempio di perfetta fusione fra suggestioni cubiste, astrattiste e futuriste.

Il percorso continua con una raccolta di opere che richiamano le vacanze in Italia fra il 1924 e il 1932: natura e colori la fanno da padrone, a conferma che il Bel Paese imprime nell’animo di Klee non solo i dati culturali e artistici, ma soprattutto i paesaggi e le bellezze naturali offerte dal territorio.

Una sala dedicata al Bauhaus – dove Klee insegnò tra il 1921 e il 1930 – crea una sorta di intervallo ideale nella mostra e riconduce l’esposizione a un respiro sovranazionale. Kandinsky, Moholy-Nagy, Richter – solo per citarne alcuni – campeggiano sulle pareti come un monito, accennando – ma sembra che gridino – alla rivoluzione artistica in corso in quegli anni, alla lacerazione del figurativo nell’informale, a uno stravolgimento definitivo del fare pittura.

Percorrendo gli ultimi tre snodi espositivi lo spettatore sembra patire uno smarrimento vago e inspiegabile, come una sofferenza per tutto quanto visto e assorbito poco prima (l’angoscia liberata fra le due guerre si fa sentire) o addirittura una sorta di empatia con l’artista, che si dirige gradualmente all’irreversibile aggravamento delle sue condizioni di salute (la sclerodermia lo uccise nel 1940). La sala dedicata a Klee e la musica (Klee era figlio di musicisti, e musicista lui stesso) raccoglie opere che fondono figuratività e concessioni all’astratto in un alternarsi di fisionomie umane (signore ben vestire per recarsi all’Opera o a un concerto) e di paesaggi (il cui collegamento con la musica risulta inspiegabile); fa seguito una nuova dedica alle villeggiature del pittore, stavolta in Sicilia, all’insegna dell’elemento naturale correlato all’arte antica; si chiude infine con una sala intitolata agli “anni della nostalgia”, in cui è forse una visione intimista e cupa a fare da collante fra le opere esposte.

Nella sua totalità, la mostra Paul Klee e l’Italia si rivela suggestiva. Sebbene soffra per alcuni tratti di una incoerenza tematica, la si imputa facilmente all’urgenza di incastonare la produzione di Klee all’interno di un movimento immenso che negli anni della sua attività scivolava come un magma sui fianchi dell’arte tradizionalmente concepita per seppellirla definitivamente, nonché alla difficoltà di operare una sintesi minimale su un’opera non solo vasta, ma incredibilmente variegata.

Certamente il merito più grande della mostra è quello di avvicinare “intimamente” il pubblico alla figura del pittore, di accompagnarlo nei meandri delle sue rielaborazioni personali, dei lampi associativi che determinano lo spessore della sua arte, ma anche dell’impossibile connubio tra forza espressiva e fragilità umana che fa di Paul Klee – proprio come la sua Invenzione – un Icaro che non vola più.

La mostra continua:
Galleria Nazionale d’Arte Moderna
viale delle Belle Arti, 131 – Roma
fino a domenica 27 gennaio
orari: da martedì a domenica dalle 10.30 alle 19.30, ultimo ingresso ore 18.45 (lunedì chiuso)

Electa, Civita, Arthemisia Group e 24 ORE Cultura presentano:
Paul Klee e l’Italia
a cura di Tulliola Sparagni, Mariastella Margozzi