L’altra domenica

delloscompiglio[1]Nella splendida Tenuta dello Scompiglio, che si estende a pochi chilometri da Lucca, una serie di iniziative artistiche rendono piacevole la domenica fuori dalle Mura.

Per chi non fosse di Lucca, è forse doveroso spiegare che la città è come divisa tra fuori e dentro le sue Mura. Dentro, all’ombra di torri e campanili, sonnecchia una cultura un po’ borghese e un po’ autoreferente che si crogiola delle bellezze architettoniche e dei turisti mordi e fuggi; fuori, agli occhi dei cittadini, si srotola il nulla. Eppure, a ben guardare, tra splendide ville padronali, colline lussureggianti, terrazzamenti di ulivi e viti, un ricco sottobosco mediterraneo carico di profumi, tra alberi di corbezzolo e macchie d’erica, si respira un’aria diversa, giovane e controcorrente, internazionale e multidisciplinare che, alla Tenuta dello Scompiglio, trova una tra le più effervescenti espressioni della Lucchesia.

Qui, in una domenica di settembre, si può trascorrere un intero pomeriggio senza annoiarsi nemmeno un attimo. Si comincia con una visita allo Spazio Performatico ed Espositivo, dove è attualmente visitabile A Long Day, un’installazione site-specific di Chiharu Shiota – artista selezionata a rappresentare il Giappone alla LVI Biennale di Venezia (2015). L’opera pensata e realizzata per lo Scompiglio è decisamente affascinante. Il visitatore si trova a vivere l’esperienza di attraversare un lungo tunnel di forma pressoché circolare e, quindi, senza soluzione di continuità, costruito con fili di lana tessuti nello spazio. D’un tratto, perso in quella giostra senza fine, mosca nella tela di un ragno gigantesco, può arrivare a perdere la cognizione del tempo per lasciarsi avvolgere da un bozzolo insieme protettivo ed esclusivo. Ancora più all’interno, semplici oggetti di uso quotidiano, svuotati di senso da un contesto straniante – ossia un tavolo, una sedia e fogli di carta risucchiati da un gorgo verso un aldilà ignoto – imprigionano la mente dello spettatore quasi per evocare in lui un senso di caducità. Le parole, i pensieri, le emozioni che ognuno di noi vive nella propria quotidianità si perdono come lacrime nella pioggia, eppure quel filo che trattiene e insieme permette il volo di ogni singolo foglio rimanda, al contrario, a una continuum, a una relazione ancora possibile, attraverso la trasmissione orale o scritta, il cunto, la fabula. Opera ricca di suggestioni, A Long Day è un’esperienza che va vissuta nella quiete e nel silenzio, regalandosi il tempo necessario per assorbirla appieno, godendo dei giochi di luci e ombre, perdendosi nel labirinto della mente.

Dopo questa prima sosta, ci si inerpica per qualche centinaio di metri su una delle belle colline che circondano la Tenuta fino a raggiungere un metato, ossia un piccolo edificio rurale, che accoglie Camera #3, l’installazione di Cecilia Bertoni e Claire Guerrier con accompagnamento sonoro di Carl G. Beukman. Terzo progetto dedicato al tema della solitudine e all’idea di camera, non tanto come spazio interno quanto come spazio che esclude o rinchiude, Camera #3 è innanzi tutto un’esperienza individuale che si vive entrando in un luogo insieme familiare ed estraneo: quasi ci si intrufolasse nella stanza della migliore amica quando lei è assente, per leggerne il diario di nascosto, per capirla e riflettersi in lei, nei suoi pensieri, in quegli oggetti disparati che assumono significato nel momento della scelta. Notiamo, innanzi tutto, i bambini, quali soggetti che sembrano ricorrere, come un leitmotiv in ogni installazione. Minuscoli bambolotti di plastica parzialmente interrati: semi di vita futura o humus della nostra esistenza? In quella fossa dove potrebbero giacere e dalla quale fuoriescono come formiche pronte al volo e alla conquista del proprio nido, quei bambini di plastica sono l’inizio di un ciclo inesorabile, che si concluderà su quel letto d’ospedale. E quest’ultimo, elemento altamente simbolico, sembra rimandare sia alla fine, rappresentata dalla flebo, sia a una lunga vita piena, intessuta di rapporti, amicizie e ricordi – anche grazie a quei cuscini stampati a foto e al motivo ricamato (forse dalle Parche) sulla trapunta. Ogni oggetto, che il visitatore è libero di scegliere, sfogliare, toccare, ha una tale ricchezza di rimandi semantici da costruire, lentamente ma distintamente, la figura della donna che vive in questa camera. Una figura nella quale possiamo rifletterci anche grazie al gioco di specchi; alla raccolta di radiografie e immagini di corpi che sembrano trasudare malattia – la sua, la nostra; e ai libri che trattano il tema della reclusione. E a questo punto subentra la voglia di evadere, di scappare lontano da quella camera, da quel ciclo inesorabile che impone l’eterno ritorno. Diventa prepotente la fuga, più forte della fascinazione esercitata da ogni singolo oggetto e da quel tutto dotato di senso: quasi rumore di fondo univoco sebbene costruito a più mani (da tre artisti). Ma ecco che ci soccorre lei, che apre quella finestra, cogliendoci di sorpresa come un colpo d’ala sulla spalla: c’è luce là fuori, c’è uno spiraglio per fuggire da questa, come da ogni camera – involucro sicuro e insieme soffocante. Cogliamo l’attimo per volare via… Camera #3 è un’esperienza assolutamente singolare in grado di suscitare emozioni, forti e contrastanti, ma perché ciò accada dobbiamo fermarci qui nell’analisi delle nostre esperienze individuali, affinché ognuno possa farne anche altre, liberamente, scegliendo in autonomia gli oggetti da possedere un attimo e dai quali staccarsi per sempre.

Alle 16.00 si dà il via a La Caccia, prima parte di Sisters of Hera – Dentro/Fuori, insieme di performance interattive, percorso di scoperta della vasta Tenuta che ci ospita e visita a luoghi “deputati”, dove si scoprono installazioni che sfruttano la specificità dell’ambiente circostante per arricchirsi di senso. L’esperienza dura circa due ore e si giova indubbiamente dello scenario naturale. Alcune performance però ci colpiscono più di altre, quali The Bell Tree – con un eccellente James Foz Foster che riesce davvero a catturare lo spirito di Pan producendo suoni suggestivi con alcuni campanelli, una sega e una shruti box – uno strumento musicale di origine indiana; e Icaro, la performance di Serena Gatti con rimandi à la manière de Armando Punzo ma con note decisamente più ironiche e auto-ironiche. L’intero percorso si srotola intorno all’idea di mito ma sarà la seconda parte, quella agita in teatro, La Festa, che darà un senso al tutto, convincendo davvero. Prima, però, un breve ristoro presso la Cucina dello Scompiglio, dove ci accolgono un buon calice di bianco o rosso e delle bruschette con olio rigorosamente toscano. E qui lasciateci divagare un po’ e affermare quello che dovrebbe diventare un must: quando si parla di cibo o di vino, si parla d’arte, di convivialità, di capacità di assaporare la vita. Unire il piacere intellettuale a quello culinario è prassi antica che andrebbe recuperata, come parte di una valorizzazione del territorio e della sua cultura meno didattica e più godibile.

Concludiamo con La Festa. L’ultima stazione di questo lungo viaggio a tappe è a teatro, anche se in un teatro sui generis, con gli spettatori che si accomodano ai tavoli, per festeggiare – come in un pranzo di nozze – un inno profano alla vita. Davanti ai nostri occhi di convitati si srotolalo i momenti salienti dell’esistenza: dai giochi d’infanzia agli ultimi fuochi prima del tramonto. Magie nouvelle; videoarte (destabilizzante la prima proiezione, quasi un Grosz naïf); un convivio con rimandi al Teatro de los Sentidos; kitchen music, ossia musica dal vivo eseguita con attrezzi da cucina; e, ancora, la fascinazione delle ombre cinesi. Un universo di linguaggi che si sposano per regalare allo spettatore un momento fortemente emozionante, quasi un dionisiaco ritorno – attraverso l’immaginario collettivo – alle nostre radici antropologiche, prima ancora che storiche e culturali. Un’esperienza stimolante che conclude una domenica decisamente diversa e l’applauso finale ha solo una nota stonata: non siamo in molti ad aver condiviso questa lunga giornata di festa. Fuori dalle Mura esiste un mondo, ma bisogna oltrepassarle per rendersene conto.

La performance ha avuto luogo:
Tenuta Dello Scompiglio
via di Vorno, 67 – Vorno (Lucca)
sabato 20 settembre e domenica 21 settembre
dalle ore 16.00 alle ore 20.30

Aurelius Productions/Grist to the Mill
Associazione Culturale Dello Scompiglio presentano:

Sisters of Hera – Dentro/Fuori
un viaggio site-specific in tre atti
La Caccia – Il Ritorno a Casa – La Festa
con una pausa per un calice alla Cucina dello Scompiglio

ideazione e cura
Dorothy Max Prior regia
Isobel Smith designer/artista visiva
James Foz Foster compositore
in collaborazione con
Simon Wilkinson, Circa69 (UK);
Yael Karavan, The Karavan Ensemble (Israele);
Matthew Blacklock e Marion Duggan, The Ragroof Players (UK);
Bruno Humberto (Portogallo);
Serena Gatti (Italia);
The Baron Gilvan (UK)

Installazioni:
per Solitudine da camera
Camera #3
installazione di Cecilia Bertoni e Claire Guerrier con Carl G. Beukman, 2014

A Long Day
installazione site-specific di Chiharu Shiota per la Tenuta Dello Scompiglio, 2014
(visitabile fino al 12 ottobre)