E come potevamo noi cantare?

palazzo-reale-milanoL’arte, la storia, la libertà. Novantaquattro artisti, provenienti da ventisette paesi europei, raccontano il dolore, la paura, la speranza e i desideri che hanno animato l’umanità dal dopoguerra in poi. The desire for freedom raccoglie alcune delle loro opere d’arte e, tra le sale di Palazzo Reale, riesce a tracciare un percorso coinvolgente, dinamico e di grande impatto emotivo.

“E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, tra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo”, recitano così alcuni versi scritti da Salvatore Quasimodo che, in una delle più belle poesie del Novecento, ha descritto l’impotenza del poeta davanti allo strazio di una guerra. Leggi razziali, campi di concentramento, bombardamenti e strumenti di tortura: gli uomini, vissuti in quello che alcuni chiamano “secolo breve”, non sembrano essere stati risparmiati dalla vista di nessun orrore.
Quanti dei tragici avvenimenti accaduti in quegli anni sono ancora incomprensibili, inspiegabili, inconcepibili? Sicuramente troppi. Tuttavia, “se il mondo fosse chiaro l’arte non esisterebbe” scriveva il pensatore Albert Camus e così Charles Boltanski, con le diciotto fotografie della sua installazione, prova a interrogare il visitatore sull’assurda fine di quel gruppo di alunni ebrei che, nel 1931, frequentava il Liceo Cheses a Vienna. Se una risposta non si può trovare, bisogna almeno continuare a porsi domande. L’artista tedesco Anselm Kiefer, per farlo, sceglie d’indossare i panni di un nazista e ripetere i gesti che appartengono a quel codice di comportamenti che oggi è diventato un tabù. La sua scelta, provocatoria e scioccante, assume un significato molto profondo se per interpretarla si pensa alla teoria della colpa del filosofo Karl Jaspers: ogni uomo, vissuto in quegli anni, è macchiato dalla colpa metafisica che gli deriva dall’essere sopravvissuto.
Richard Hamilton, interprete del conflitto nord-irlandese, raffigura nella sua opera intitolata Lo stato un soldato che cammina all’indietro. Basta questa immagine a simboleggiare tutte le contraddizioni di un esercito che, a pochi anni dalla Seconda Guerra Mondiale, torna imbracciare le armi per uccidere. La storia, talvolta, sembra essere incapace d’imparare dagli già errori commessi: è molto diversa da quell’Angelus Novus raffigurato da Paul Klee mentre avanza con lo sguardo costantemente rivolto al passato.
Emil Shumacher, nel dipinto intitolato Eruzione, riversa sulla tela tutta la libertà che gli è stata negata dal nazionalsocialismo. È praticamente impossibile capire quali figure siano sullo sfondo e quali appaiano, invece, in primo piano. Negli anni della guerra fredda, il pittore sceglie di concedere agli osservatori della sua opera la completa libertà d’interpretare ciò che vedono. Nessun collegamento sembra legare l’arte alla realtà esterna: quella che si vuole proporre non è una rappresentazione oggettiva del mondo. Il pittore ha voluto dimostrare a se stesso che, almeno nell’atto del dipingere, gode di una libertà assoluta e completa.
Il consumismo ha tolto agli uomini la loro individualità trasformandoli in massa. La folla rappresentata da Andreas Gursky appare smarrita e stordita mentre si aggira tra i banchi di un grande supermercato pieno di coloratissimi dolci. Mario Schifano, con Tutta Propaganda, denuncia come questa dimensione, frivola e seducente, fatta di slogan e pubblicità abbia ormai invaso la vita degli uomini, condizionandone irrimediabilmente la libertà di pensiero.
Le donne, dal 1945 a oggi, hanno lottato con forza per vedersi assegnare alcuni diritti e per riuscirci hanno dovuto sconfiggere gli stereotipi che le costringono a essere casalinghe o seduttrici. Un’odiosa alternativa che Aurora Reinhard racconta molto bene nell’opera ironicamente intitolata Fiori, dove applica delle unghie smaltate a dei guanti usati per lavare i piatti.
Questo percorso, che attraversa oltre cinquant’anni di storia, insegna che l’arte può nascere anche dal desiderio d’oltrepassare un limite, dall’insofferenza per la crisi, dalla voglia di trovare un luogo dove si possa essere, finalmente, liberi.

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La mostra continua:
Palazzo Reale
Piazza del Duomo 12, Milano
fino al 2 giugno 2013
orari: lunedì, 14.30 – 19.30; da martedì a domenica, 9.30 – 19.30; giovedì e sabato 9.30 –

The desire for freedom, arte in Europa dal 1945
a cura di cura di Monika Flacke, Henry Meyric Hughes e Ulrike Schmiegelt
promossa in Italia da: Comune di Milano – Cultura, Moda, Design
prodotta da: Palazzo Reale, Deutsches Historisches Museum di Berlino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore
realizzato su iniziativa di: Consiglio d’Europa
con il sostegno finanziario di: Commissione Europea (programma «Cultura» 2007-2013)
il progetto è frutto della collaborazione internazionale di 36 Paesi membri del Consiglio d’Europa
http://www.desireforfreedom.it

Catalogo:
The desire for freedom, arte in Europa dal 1945
autori: M. Flacke
casa editrice: 24 Ore Cultura
360 pagine, 21×28 cm, 200 fotografie, brossura con alette
prezzo: 32,00 Euro