I demoni dell’anima e la pittura come condanna

A ridosso del centosettantesimo anniversario dalla nascita del pittore olandese, Palazzo Bonaparte e Arthemisia presentano al pubblico una delle mostre più attese dell’anno, una selezione di alcune delle opere conservate al Kröller-Müller Museum.

Sarebbe ridondante insistere su quanto l’arte di Van Gogh sia stata trascurata e incompresa mentre era in vita il pittore, e quanta fortuna ha invece acquisito a partire dalla sua morte, fino a diventare uno dei pittori più noti nell’immaginario collettivo anche nella contemporaneità. Questo ovviamente in connessione alla notissima vicenda biografica, travagliata e dal tragico finale: la malattia mentale, l’incapacità di stabilire dei legami affettivi duraturi, le crisi psicotiche, la schizofrenia e l’autolesionismo, tutti elementi che non possono venire esclusi e trascurati nella comprensione della magnifica arte del maestro olandese, che tuttavia rivendica di non venire ridotta a mera espressione soggettivistica e personale perché nelle linee e nei colori di Van Gogh c’è un’intera epoca, un travaglio collettivo e sociale, se non persino l’angoscia che caratterizza l’essere umano da sempre.

La malattia di Van Gogh è probabilmente la malattia di ciascun uomo, sempre e ovunque, e il percorso pensato dalle curatrici Maria Teresa Benedetti e Francesca Villani esprime al meglio come la pittura per Van Gogh fosse autentico pharmakon, veleno e antidoto, perché come accade spesso la ragione della malattia coincide col tentativo di curarla. Van Gogh è un personaggio cristico proprio per questa ragione: portando all’estremo il tentativo di esorcizzare i propri fantasmi, esponendosi al massimo sull’abisso, ha lasciato ai posteri le testimonianze della sua sciagura privata nelle sue opere immortali, a costo però del sacrificio della sua stessa vita.

Il Kröller-Müller Museum di Otterlo nei Paesi Bassi è considerata un’autorità nel collezionismo privato dell’arte moderna: una collezione straordinaria che detiene tra le altre cose la più consistente quantità di opere di Vincent Van Gogh dopo il Van Gogh Museum di Amsterdam. Da questa collezione sono arrivati a Palazzo Bonaparte una cinquantina di opere, in un allestimento in grado di valorizzare ogni singolo pezzo, alcuni dei quali considerati tra le massime espressioni dell’arte vangoghiana.

Le cinquanta opere in mostra ricostruiscono in maniera efficace ed esaustiva le varie tappe del percorso di Van Gogh, un percorso che come abbiamo detto è tanto artistico quanto psicologico ed esistenziale. Si assiste chiaramente come l’attrazione lirica nei confronti dei paesaggi abbia virato a un certo punto all’amore incondizionato per la terra e il lavoro della terra: nel dipingere la gente umile, i corpi piegati dai sacchi di carbone o intenti alla raccolta del grano, Van Gogh trovò una sorta di missione. Donne nella neve che trasportano sacchi di carbone del 1882 e Contadina che raccoglie il frumento del 1885 ad esempio, ci raccontano dell’attenzione di Van Gogh per i personaggi femminili, ma soprattutto per i corpi malvestiti, sporchi del lavoro, che acquisiscono però una dignità e una sacralità che raramente avevano trovato nella storia dell’arte.

La ricerca della bellezza da parte di Van Gogh – una bellezza che avrebbe dovuto redimere e acquietare i demoni che iniziavano a scalpitare nella sua anima e nella sua mente – passa per i paesaggi per approdare alla provincia rurale, lontano dai salotti frequentati dalla ricca borghesia olandese. Quello che trova è però sempre sofferenza, mai autentica gioia di vivere, come attestano opere come Vecchio che soffre del 1882. A un certo punto, Van Gogh decide di frequentare quella che all’epoca era la capitale indiscussa dell’arte e della sperimentazione pittorica, ovvero Parigi: Vincent coltiva qui amicizie decisive e apprende il metodo di pittura impressionista e puntinista, soprattutto nella capacità di calibrare i colori ed esprimere le tante sfaccettature della luce. Ma per lui, la pittura “ufficiale” e accademica è quanto di più lontano dalla sua sensibilità: fugge da Parigi, facendo però tesoro di quanto appreso, e cerca di recuperare l’autenticità e la purezza lasciate per la metropoli. Si trasferisce in Provenza e ad Arles, per godere del clima mediterraneo, delle luci e dei colori, ma neanche questo basta a frenare il turbine del disordine mentale: se l’amico-nemico Paul Gauguin cercherà nella fuga a Tahiti la possibilità di ripararsi dalla maledizione della modernità fagocitante, Van Gogh opta per l’autodistruzione, per l’autolesionismo e per l’alcolismo. La lezione francese viene così convertita: le tecniche di Renoir e Seurat nelle sue mani diventano puro espressionismo di energia, la sua pittura uno strumento di forza capace di restituire tutta la spigolosità interiore.

E così, anche un paesaggio idealmente quieto come quello dei Tronchi d’albero nell’erba (1890) o persino un contadino che all’alba getta semi su uno sterminato campo fatto di colore e luci che schizzano ovunque (come nel Seminatore del 1888) diventano il sismografo del proprio inferno: se in Burrone del 1888 la morbosità e l’annuncio del tragico epilogo assumevano una configurazione metaforica chiara, in molte altre opere (non ultime le nature morte) sono la luce e i colori che invertono la propria essenza simbolica. Tutto parla di morte, di tensioni irrisolte, di dolore inappagato: l’arte non acquieta ma intensifica l’impulso distruttivo, che parla di un’intera epoca legata al nichilismo decadente e allo spaesamento globale, alla fine dei vecchi valori e a una crisi che tutto l’Occidente sente ed esprime attraverso la filosofia, la letteratura, le arti. I tentativi di elaborazione di tale crisi distinguono Manet e Gauguin da Van Gogh (i primi due altri grandi protagonisti della collezione Kröller-Müller Museum presenti in mostra), complice la rozza ingenuità di quest’ultimo. Il famosissimo Autoritratto del 1887, pezzo forte della mostra, attesta proprio questo: si tratta di un crocevia stilistico ma anche l’annuncio della fine, perché è come se da quel momento in poi la forza diventasse sempre più tenace al punto da sfondare la diga dell’arte per convertirsi in violenza su se stessi e infine in morte, una morte che si riflette demonicamente in quello sguardo del pittore rivolto a se stesso e a noi.

La mostra continua
Palazzo Bonaparte
Piazza Venezia, 5, 00186 (RM)
Dall’8 ottobre al 26 marzo 2023

Van Gogh. Capolavori del Kröller-Müller Museum
Una mostra Arthemisia
A cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti

©photo credits

In copertina
Vincent Van Gogh
Il seminatore

Arles, 17 – 28 giugno 1888
Olio su tela, 64,2×80,3 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Vincent van Gogh
Il burrone (Les Peiroulets)
Saint–Rémy, dicembre 1889
Olio su tela, 73,2×93,3 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Vincent Van Gogh
Donne nella neve che trasportano sacchi di carbone
L’Aia, novembre 1882
Carboncino, acquarello opaco e inchiostro su carta velina, 32,1×50,1 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherland

Vincent van Gogh
Contadina che raccoglie il frumento
Nuenen, luglio – agosto 1885
Gessetto nero, gouache grigia, acquerello opaco bianco e tracce di latte fissativo su carta velina,52,2×43,2 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Vincent van Gogh
Autoritratto
Parigi, aprile – giugno 1887
Olio su cartone, cm 32,8×24
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherland