Ritratti d’Autore

Favara è un pueblo in provincia di Agrigento che fino a poco più di un decennio fa era noto per lo stato di sostanziale abbandono delle sue infrastrutture materiali e immateriali, per uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia, per le infiltrazioni mafiose e per una “vivacità” culturale ai minimi termini. Oggi la situazione non è certo rosea se, escluso il dismesso Teatro San Francesco, non ci risulta che in loco sia attivo un teatro o un cinema, tuttavia dal 2010 è successo qualcosa di clamoroso e sconcertante. Il 25 giugno è infatti nata Farm Cultural Park, dopodiché Favara ha cambiato volto e nulla è stato come prima: quello che era un ecosistema di degrado, rappresenta oggi la capacità dell’arte di rivelare la presenza di quelle ideali forze soccorritrici a cui l’umanità ha sempre attinto per sfuggire al pericolo delle sue “notti” più lunghe.

Dall’articolo di The Guardian del 2012 (che definiva Favara «The island’s capital of cool» grazie all’impulso di Farm), al prestigioso invito alla Biennale di Venezia dello stesso anno e a tanti altri numerosi attestati ricevuti in poco più di dieci anni di attività: Farm Cultural Park è un nome ormai riconosciuto a livello internazionale, ma come nasce la visionaria idea di utilizzare l’arte per «promuovere una nuova identità per la città di Favara e tracciare una strada per il futuro»?
Andrea Bartoli: «Nasce da un bisogno. Poter restare in Sicilia senza contare i giorni per andare via. Per non sentirsi periferia e tagliati fuori dal mondo. Per vivere ogni giorno della nostra vita, accogliendo artisti, creativi, intellettuali da ogni parte del pianeta».
Florinda Saieva: «Siamo stati guidati dall’istinto. Abbiamo condiviso tutto quello che avevamo: un poco di denaro, il tempo, il nostro network e una grande passione per la cultura del contemporaneo».

Rimaniamo un momento nel passato per evitare di far pensare che il vostro sogno sia stato di facile realizzazione. Immaginiamo che la gestazione e lo “svezzamento” di Farm sia stato avventuroso ed encomiabile, fors’anche – per chi conosce le dinamiche locali – epico: quali sono state le difficoltà riscontrate e quali, invece, i motivi che vi hanno stimolato o addirittura favorito nella realizzazione del progetto di uno spazio espositivo dedicato alla cultura nei Sette Cortili?
AB: «Caro Daniele, non lo è stato facile e non lo è tuttora a distanza di 12 anni. In questo preciso momento stiamo combattendo una battaglia pubblica con la dottoressa Vullo, Soprintendente di Caltanissetta che invece di facilitare il nostro lavoro su Mazzarino sta in tutti i modi ostacolando la presenza di Farm in questo nuovo territorio».
FS: «Raccontarvi qui tutta questa vicenda surreale richiederebbe un’intervista ad hoc, date uno sguardo nelle nostre pagine social e se ne avete voglia aiutateci a firmare la petizione per poter finalmente aprire Farm a Mazzarino».
AB: «Quanto ai motivi che hanno facilitato la realizzazione di spazi espositivi potremmo rispondere che tutti gli architetti, artisti e creativi che invitiamo a venire in Sicilia a lavorare con noi, accettano sempre con grande entusiasmo perché percepiscono immediatamente la grande portata della sfida di cambiamento di questo progetto».

Cominciamo ad avvicinarci al presente. Farm Cultural Park ha oggi l’ambizione di essere «a place that makes you happy», i suoi confini debordano da quelli di un “semplice” quartiere dedicato all’arte e vuole farsi interprete di una concezione artistica radicalmente altra rispetto a quella dell’intrattenimento e del consumo aristocratico: tra gli artisti internazionali e locali che avete ospitato, quali sono stati quelli che, a vostro parere, hanno avuto un impatto più significativo e duraturo nel contesto locale? Più in generale, qual è la ricaduta culturale, sociale ed economica dovuta alla presenza stabile di una innovativa comunità di artisti, di una provocatoria galleria di arte contemporanea e di eventi diffusi sul territorio?
AB: «Ogni artista, ogni opera, ogni esibizione ha contribuito a costruire un tassello di denuncia, di consapevolezza, di possibilità. Con Farm, l’arte e la cultura non sono mai fine a sé stesse; servono a metterti in discussione, a chiederti chi sei, dove stai andando, cosa stai facendo della tua vita. Servono a chiederti di schierarti, di prendere posizione, di diventare anche tu a casa tua, attore e protagonista di un piccolo cambiamento».
FS: «Le ricadute sono enormi. La più banale è quella economica. A Favara c’erano sei camere di un b&b e adesso ci sono 600 posti letto. Pensa solo alle nostre Scuole: Sou, la Scuola di Architettura per Bambin*, da fine mese in 18 città italiane, e Prime Minister, la Scuola di Politica per giovani donne oggi in 12 città italiane. Stiamo lavorando giorno dopo giorno per formare una nuova classe dirigente più colta, coesa, generosa e consapevole».

Siamo all’oggi (ma iniziamo a dare uno sguardo al futuro): chi sono gli attuali co-investitori nel progetto, come si sviluppa la sua direzione artistica, come vengono selezionati/scelti artisti e progetti e come vi relazionate alla cittadinanza interessata a dare un contributo non economico? 
AB: «Co-investitori? Magari. Dopo 12 anni abbiamo dei format culturali strutturati come Countless Cities (la Biennale delle Città del Mondo) o come in questo momento Radical SHE – Women Quadriennial of Art and Society. Gli artisti, gli architetti, i paesaggisti, gli antropologi, mischiati tra di loro con un approccio transdisciplinare vengono chiamati a fare i curatori di un Padiglione in base alle loro skills sui temi di anno in anno affrontati dalle nostre esibizioni».
FS: «Rispetto ai temi del coinvolgimento della cittadinanza, l’anno scorso abbiamo costituito spaB- Società per Azioni BUONE, con i primi 70 soci. Abbiamo l’ambizione di mettere a valore tutte le risorse del nostro territorio che poi sono le risorse di qualsiasi territorio: immobili pubblici o privati inutilizzati o sotto-utilizzati; i risparmi in denaro (Solo a Favara si stima che ci siano nelle banche 500milioni di Euro); le competenze di alcuni cittadini».

Il problema del deserto culturale non era e non è solo di Favara, visto che anche il limitrofo capoluogo di provincia (Agrigento, con la sua straordinaria, ma ingombrante Valle dei Templi) soffre terribilmente l’assenza di una proposta artistica diffusa sull’intero anno e la totale assenza di eventi legato alla performatività contemporanea. Quali sono gli eventi che come Farm proponete per questa stagione?
AB: «Nel 2022 abbiamo come dicevo Radical SHE – Women Quadriennial of Art and Society.
Sei mesi di mostre ed esibizioni, lecture, talk e incontri dedicati ai temi del femminismo, della parità di genere, dell’empowerment e della leadership femminile».
FS: «Ci tengo anche a raccontarvi che con SOU siamo partner di Procida Capitale e stiamo organizzando un progetto culturale ed educativo per bambin* di Procida e che stiamo per completare Spreading Happiness, un Consolato della Felicità di Farm all’interno di Sicilia Outlet Village, il tempio dello shopping, il luogo più visitato in Sicilia con 2milioni di presenza ogni anno. Quindi Farm, non è più solo Favara o Mazzarino ma anche tanti altri luoghi, scuole, mall, altre città».

Proviamo dunque a immaginare il futuro. Lo scenario globale e quello locale sono strettamente legati, incidere sull’uno significa impattare sull’altro, e la postmodernità appare genuflessa a uno sconfortante neo-cinismo, nonché dominata dalla completa mancanza di speranza per un mondo migliore. Quale sarà il contributo di Farm al cambiamento di questo immaginario apocalittico?
AB: «Il nostro contributo è offrire possibilità, dare strumenti, promuovere il pensiero critico, restituire luoghi e denunciare e combattere con tutte le nostre forze il vecchio sistema politico-burocratico corrotto».
FS: «Non arrendetevi al partito dominante dei nichilisti, di quelli che dicono che le cose non cambieranno mai. Non è vero. Farm con Favara è la prova che le cose possono cambiare e che ciascun luogo ha una possibilità di riscatto».