A Firenze, uno tra gli artisti viventi più quotati al mondo sarà in mostra, con una personale, fino a domenica 4 febbraio 2024.

Un’opera imponente (Svayambhu, 2007, cera e vernice a base di olio), un ammasso sanguinolento, che lentamente percorre dei binari che la obbligheranno ad assumere le dimensioni della matrice – ovvero una grande porta – quasi fosse un manufatto metallico da modellare con l’estrusione o la trafilatura. Il colore genera quasi una forma di repulsione guardando ai lati dei binari e della porta brandelli che sembrano di viva carne. Testimonianza delle difficoltà di adattamento alle costrizioni, in questo caso del manufatto, ma metaforicamente forse di ogni forma di questo mondo. E perché non ravvedervi quella Palestina di oggi, come di ieri, che non riesce a prendere la sua forma di Stato? Il lento movimento accentua l’agonia alla quale è sottoposta la struttura anche in virtù dei tempi lunghi del processo stesso.

Un sonno in un mondo fantastico quello che ci assale di fronte a To Reflect an Intimate Part of the Red (1981, tecnica mista e pigmento), un’opera composta da vari pezzi che spuntano come “funghi lisergici” dal terreno, mentre noi siamo precipitati in un sogno rosso fuoco nel quale si materializza una cupola – quasi un seno – gialla.

È ancora il colore a dominare il nostro immaginario nella terza Sala di Palazzo Strozzi con la colonna fiammante che pare collegare il mondo terreno a quello ultraterreno. Endless Column (1992, tecnica mista e pigmento) è quasi un tunnel immaginario che permette di viaggiare da uno spazio all’altro, forse un invito alla conoscenza.

Perdersi nel vuoto di un buco nero, senza fondo e cieco, ma che attira per la sua assenza di colore e profondità e che, a sua volta, è riflesso in quello che apparentemente sembra un cerchio nero e piatto – custodito in una teca come una reliquia laica, come un monolite kubrickiano. E tra le due opere, un esempio perfetto di estroflessione che appare in tutta la sua perfezione estetica laddove il bianco è completamente appiattito e reso invisibile a sé stesso e all’occhio del visitatore se questi vi si pone di fronte. Il reale e l’illusione si materializzano compiutamente nella quarta Sala con i lavori: Non-Object Black, 2015; Untitled, 2023 (resina e vernice); e Dark Brutal, 2023 (tecnica mista e vernice).

È sufficiente il colore per definire un elemento? Può la perfezione di un cerchio tradurre l’impalpabile fluidità di una nuvola? Sembra un invito a forzare la propria immaginazione quello che Kapoor fa allo spettatore con le quattro opere intitolate Gathering Clouds, 2014 (fibra di vetro e vernice). Guardando queste parabole dal vuoto cosmico tutto sembra possibile.

Una Sala che gronda sangue, la sesta, in cui la pesantezza della matrice coloristica e della trattazione della materia sono solo leggermente attenuate dal bianco che ricopre alcune parti delle sculture appese alle pareti: Tangue Memory, 2016 (silicone e vernice), Today You Will Be in Paradise, 2016 (silicone e vernice), Tree Days of Mourning, 2016 (silicone, mixed media e vernice), First Milk, 2015 (silicone, fibra di vetro e vernice). L’esterno ma soprattutto l’interno di corpi o animali (uno sembrerebbe il maiale de L’Albero degli zoccoli che, tutti, abbiamo visto squartare da bambini) si rivelano in queste opere ove trasudano interiora legate e appese, grotte che si insinuano nella carne scavandola ancora più in profondità – quasi trapassandola.

In centro alla stanza, quella che sembra un’immensa vulva: A Blackish Fluid Excavation, 2018 (acciaio e resina), una struttura quasi tarlata al suo interno circondata da un reticolo di metallo. E torna ancora il tema della costrizione.

Specchi riflettenti, in acciaio inossidabile, che generano mondi, il diritto che si confonde con il rovescio, il vero col falso, perfettamente in linea con il titolo della personale. Tre sculture: Vertigo, 2006; Mirror, 2018; e Newborn, 2019 (tutte e tre in acciaio inossidabile). Variazioni quasi musicali sulle immagini del nostro piccolo universo o tranello sagace per le nostre percezioni, che si confondono creando smarrimento? Ma occorre fare attenzione perché uno sguardo veloce e in movimento può generare confusione e alterazione sensoriale.

Nell’ultima Sala campeggia l’opera intitolata Angel, 1990 (ardesia e pigmento), che ci appare come una piazza popolata da corpi blu elettrico: un colore vivo e vibrante per una materia all’apparenza inerme, inanimata, quasi a rappresentare forme cadute dal cielo in tempi remoti, che evocano battaglie bibliche o miltoniane. Uno spazio/tempo appagante dopo il pullulare di immagini distorte della Sala esperienziale precedente.

All’interno del cortile – purtroppo non aperta, come di solito accade a Palazzo Strozzi, al pubblico o al passante – campeggia Void Pavilion, 2023 (tecnica mista e vernice), probabilmente la meno seducente tra le opere esposte.

Una mostra che, data l’esiguità di spazi e l’imponenza delle opere, forse non riesce a regalare a chi non conosca già i lavori di Kapoor tutta la complessità e ricchezza del suo lungo percorso artistico, ma che ne delinea una parte trasportandoci nel suo mondo insieme visionario e tecnologicamente avanzato.

La mostra continua:
Fondazione Palazzo Strozzi

piazza Strozzi – Firenze
fino a domenica 4 febbraio 2024
orari: tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 20.00; giovedì fino alle 23.00

Anish Kapoor. Untrue Unreal
a cura di Arturo Galansino 
(direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi)

Crediti: Anish Kapoor, Svayambhu, 2007 Photo: Dave Morgan. © Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023