Dilatare il proprio tempo

Gli ipnotici frames del videoartista statunitense segnano la riapertura di Palazzo Bonaparte in un percorso introspettivo curato da Kira Perov.

La nuova stagione espositiva di Palazzo Bonaparte è inaugurata da Icons of light, un omaggio all’eminente artista video Bill Viola. Le quindici opere video-installative della mostra curata da Kira Perov, costituiscono un percorso espositivo visuale, che nel buio delle sale diventa una esperienza di riflessione introspettiva.

Sebbene alcuni dei lavori esposti appartengano alla prima fase della carriera artistica di Viola, come The Reflecting Pool, videotape realizzato tra il 1977 e il 1979 (cronologicamente il primo tra quelli presentati, che infatti accoglie il fruitore nella prima sala), i temi delle opere si dimostrano concettualmente, ancora una volta, rilevanti non solo nel contemporaneo, ma anche rispetto all’esperienza individuale dell’uomo.

Attraverso l’utilizzo della slow motion, l’artista statunitense riflette sulla dilatazione del tempo: lavori come Ascension, del 2000, Three Women, del 2008, o Ancestors, del 2012, affrontano il tema della percezione temporale dell’uomo, che è individuale e soggettiva, rispetto allo scorrere effettivo del tempo, processo invece naturale ed inevitabile.

Quelle riprese nei video di Viola, infatti, sono le uniche figure a muoversi secondo un intervallo che è diverso da quello reale, rappresentato dagli elementi naturali (come il riflesso della piscina o della luce sul mare, la pioggia, una tempesta di sabbia) e che corrisponde a quello che il fruitore vive nel momento in cui è posto dinanzi all’opera: l’uomo vive il proprio tempo secondo la propria esperienza, che non sempre è oggettiva e reale, come invece sono gli elementi naturali.

La visione dei lavori è mediata, naturalmente, da dei display che permettono la riproduzione in loop dei video dell’artista secondo le sue disposizioni – ad esempio, Ascension non ricomincia subito, ma dopo un’attesa di due minuti. Ciò contribuisce ad una ricezione che sembra anormale rispetto alla nostra quotidianità: ci troviamo di fronte a delle opere video fruibili attraverso schermi digitali (situazione consueta nel contemporaneo), ma non siamo noi a gestirne il tempo (elemento straniante, esasperato dagli effetti slow-mo).

Nel testo “Bill Viola. Oltre la videoarte”, il curatore Valentino Catricalà invita a prendersi il proprio tempo davanti alle opere nel percorso espositivo, riflettendo le intenzionalità dell’artista dell’attesa come esperienza: essa ci rende partecipi dell’opera nel momento in cui la nostra temporalità corrisponde a quella della natura e avvertiamo il peso della diversa percezione dell’altro. L’apparente limite della subordinazione ad una scansione che non è la nostra apre nuove possibilità interpretative mettendo in relazione il momento della visione con quello oggettivo della natura (che nella sua condizione ci appare familiare) e quello soggettivo di un altro, diverso da noi.

In Three Women, l’uscita dalla sospensione è resa esplicita dalla gestualità delle performer: se il tempo della natura è il tempo reale, uscirne e vivere il proprio (ovvero la propria vita) è un momento di respiro. Ma non si può fare altro che prendere aria e tornare sotto l’acqua, perché il tempo reale è un altro e ad esso non c’è alternativa. Il tema del rapporto con la natura inteso come rapporto con la temporalità è costante per tutto il percorso espositivo, fino a culminare nell’ultima sala, dove nella serie Martyrs (2014) Viola indaga gli elementi di acqua, fuoco, terra ed aria.

Altre riflessioni toccano il viaggio, elemento rilevante nell’esperienza artistica e personale dell’artista, come si può vedere nella già citata Ancestors o in Study for The Path (2008), metafora della trasformazione, dell’evoluzione e del cammino della storia dell’umanità.

La solennità dei temi fortemente antropologici non prescinde, naturalmente, dall’aspetto della morte: se in Ascension è solamente accennato, nel trittico di Water portraits (Gleb, Sharon e Madison, 2013) e nella serie Martyrs esso risulta più esplicito, seppur sempre subordinato alla questione sul tempo, che domina il percorso.

Unspoken (2001), ma soprattutto Observance (2002) aprono un dialogo con uno spazio espositivo che si presta benissimo al percorso studiato da Kira Perov, in un contrasto che non si limita al binomio uomo/tecnologia (ovvero il racconto di emozioni di esperienze antropologiche, comunicate da uomini reali, in un tempo virtuale, attraverso un display digitale) ma mette in relazione sensazioni ed esperienze che antropologiche, narrate attraverso strumenti digitali, con un luogo intriso di storia che, con Icons of light, si apre a nuove narrazioni.

La complessità delle opere di Viola e la lunghezza dei video in mostra chiede al fruitore il proprio tempo per aprire una riflessione che esce dagli schermi dei display per diventare ricerca introspettiva.

La mostra continua
Palazzo Bonaparte

Piazza Venezia, 5, 00186 (RM)
Dal 5 marzo al 26 giugno 2022

Bill Viola. Icons of Light
Una mostra Arthemisia
A cura di Kira Perov

©photo credits

Bill Viola
The Reflecting Pool, 1977–9
Videotape, color, mono sound
Projected image size: 213,5×160 cm
7 minutes
Performer: Bill Viola
Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

Bill Viola
Ancestors, 2012
Color high-definition video on flat panel display
mounted vertically on wall
155,5×2,5×12,7 cm
21:41 minutes
Performers: Kwesi Dei, Sharon Ferguson
Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

Bill Viola
Ascension, 2000
Video/sound installation
Color video projection on wall in dark room;
stereo sound
Projected image size: 2,49×3,50 m
Room dimensions: 3,6×5,6×7,6 m
10:00 minutes
Performer: Josh Coxx
Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio