Il cantautore pittore

Al MAXXI di Roma è allestita Retrospectum, la prima mostra europea del Bob Dylan pittore: una collezione di quadri e altre opere di arte visiva sorprendente, per la ramificazione dell’inventiva e il dialogo col corpus musicale del cantautore.

Inaugurata nel 2019 a Shangai, arriva adesso al MAXXI di Roma Retrospectum, la prima retrospettiva europea dedicata alle opere visi e di Bob Dylan, raccoglie cinquant’anni di attività pittorica e artistica del celeberrimo cantautore. I primi accenni pubblici al versante figurativo della sua produzione artistica Bob Dylan li aveva lasciato cadere nel 1973 con la pubblicazione di Writings and Drawings, un volume che alternava i testi delle sue canzoni del decennio di maggior successo della sua carriera a piccoli disegni tracciati da Dylan stesso a mano. La produzione pittorica del Dylan più maturo – una parte importante dei quadri risale all’ultimo decennio, con una particolare intensificazione attorno al 2020, forse in occasione della pandemia – è invece figurativamente ben più ambiziosa, con tele dalle dimensioni cospicue che riprendono l’immaginario americano dei “grandi spazi”. Lavori come la serie delle Endless Highway non possono non riportare alla mente l’immaginario on the road, alla Kerouac, che caratterizzò gli esordi del cantautore folk più popolare al mondo, ma non mancano vedute metropolitane come Dark Clouds, inquietante sguardo su una Brooklyn annuvolata – non manca nemmeno uno scorcio romano, una raffigurazione in acrilico della scalinata di piazza di Spagna intitolata da Dylan When I Paint My Masterpiece. Più introspettivi e forse anche più belli sono invece i dipinti della serie Deep Focus, scorci molto più racchiusi che raramente raffigurano più di 2-3 individui nella stessa tela, sempre colti in una prospettiva che ricorda l’inquadratura cinematografica del cosiddetto piano americano, consacrato dai western d’oltreoceano. Grande risalto viene dato, non per nulla, a New Orleans, crocevia della blues highway, luogo di formazione per Dylan, che ha definito la città «un’unica, grandissima poesia»

Tra i passaggi più originali della mostra sicuramente va annoverato Mondo Scripto, una serie risalente al 2018 in cui i manoscritti dei testi delle sue canzoni più note prendono vita in singoli disegni che sintetizzano il significato del brano – il pensiero corre per un attimo ai microgrammi di Walser, ma è un’associazione indebita. Se Girl of the North of the Country diventa una casalinga affaccendata a lavare i piatti, Blowing in the Wind si trasforma, nel disegno, in un cimitero militare; il disegno che accompagna Like a Rolling Stone è ancora più indefinibile, pare una figura a metà strada tra Napoleone e Rimbaud; lo schizzo che affianca Maggie’s Farm è illustrativo, quasi tautologico; più originale la scelta di accostare la ballata antiatomica The Times They Are A-Changin’ col disegno di una mano che impugna una penna da scrivere, con cui verga le prime righe di un testo, forse un pamphlet. La serie di Mondo Scripto era già stata peraltro oggetto di una mostra a sé alla Halcyon Gallery di Londra.

Numericamente meno significativi, almeno nella selezione portata a Roma, ma importanti nella loro ideazione e soprattutto sintomatici di un determinato background sociale e di una specifica concezione del lavoro sono gli «Ironworks»: cancelli, ringhiere e mobili di ferro che Dylan crea recuperando ingranaggi, pezzi di macchinari, attrezzi del passato ed altri scatti industriali. Il cantautore celebre in tutto il mondo per Blowin’ in the Wind e Like a Rolling Stone proviene infatti da Duluth, Minnesota, una delle zone più importanti per l’industria ferriera americana, e ha sempre mantenuto, anche nei testi delle sue

In Retrospectum, l’attività pittorica di Dylan si rivela tutt’altro che accessoria rispetto alla produzione musicale, e capace anche di vette notevoli di originalità: notevole in questo senso è l’autodefinito filone della Revisionist Art, creata da Bob Dylan rielaborando la grafica, le parole e il contenuto cromatico delle copertine di celebri giornali come Life, Rolling Stone e Playboy per trasformarle in nuove immagini serigrafate di grandi dimensioni, non prive di accenti polemici e parodistici nei confronti di quell’establishment di cui le riviste più mainstream sono manifestazione. La produzione del Bob Dylan pittore e artista visivo si dimostra, pertanto, tematicamente contigua ma linguisticamente autonoma rispetto al suo ben più celebre opus musicale. A proposito dell’analogia tra i due linguaggi Dylan una volta ha affermato: «Cosa fa di un disegno un bel disegno? Le linee giuste nei posti giusti. Cosa fa di un testo un buon testo? Le parole giuste all’interno della giusta melodia». L’ammirevole equilibrio che caratterizza le sue ideazioni visive, non meno della magniloquenza che connota tanto le sue vedute paesaggistiche quanto le sue lunghe ballads, rappresentano un’efficace trasfigurazione pratica di questa massima.

In fondo, come già la veduta newyorkese di Dark Clouds lasciava presagire, Dylan ha ancora in mente l’America della sua giovinezza, e un’America vista attraverso le sue periferie incastonate nel tempo, nemmeno quella degli anni sessanta che salutò il suo improvviso successo, scossa da quei fremiti di ribellione che lo innalzarono ad icona pacifista. Ma come ha dimostrato anche I Contain Multitudes, la ballata-fiume distribuita da Bob Dylan a sorpresa come singolo poco dopo l’inizio della pandemia di Coronavirus, la prospettiva à rebours che può permettersi il cantautore, ormai un decano della musica e in generale della cultura occidentale contemporanea, non lo rende presbite rispetto alle criticità del presente. Se ormai da tempo ha abdicato il ruolo di coscienza canora della nazione che con una certa credibilità seppe rivestire negli States lungo il corso degli anni Sessanta, il suo sguardo sull’America e sul mondo continua ad essere affascinante e, spesso, illuminante. Anche quando dipinge nuvole nere che ancora incombono sulla più classica delle skylines.

La mostra continua
MAXXI
Via Guido Reni 4A, Roma
dal 16 dicembre 2022 al 30 aprile 2023
Bob Dylan. Retrospectum
a cura di Shai Baitel