Cronache dell’immaginario

L’arte di Aziz+Cucher (Anthony Aziz e Samuel Cucher) da diversi anni esprime alcuni dei caratteri essenziali della cultura contemporanea; la loro produzione si compone soprattutto di immagini digitali, fotografie manipolate con effetti e software al fine di restituire al fruitore immagini inquietanti e ambigue, che mostrano oggetti e modelli quasi irriconoscibili.

Quello che i due artisti hanno colto, traducendolo con successo nella trasfigurazione estetica del loro linguaggio, è un carattere specifico dell’epoca contemporanea e della postmodernità; si tratta, complice l’evoluzione scientifica in materia di genetica, del perturbante quanto labile confine di organico e inorganico, di vita e materia, di natura e cultura. Tipico fin dagli albori della modernità, l’inorganico (come sostengono Walter Benjamin e Mario Perniola a partire dal suo pensiero) ha acquisito un sex-appeal, ovvero una capacità di attrazione e di fascinazione, offertogli dalla sua dimensione mortifera e cadaverica; l’inorganico, il non-vivente, amplifica il suo fascino quando assume le sembianze lontane ed appena accennate di un organismo vivente. Questa la forza delle immagini di Aziz+Cucher, che mostrano entità al confine sottilissimo tra essere viventi e materie inanimate, realizzando il paradosso di “materie viventi”: ambienti e pareti renderizzate che assumono le sembianze di pelli umane e che compiono quasi impercettibili movimenti come se respirassero, ritratti di quasi-uomini dai connotati assenti e vuoti che sembrano statue di gomma, oggetti informi e indefinibili che “fingono” di assumere una qualche funzione riconoscibile.

Infatti, anche il principio di (non)usabilità degli oggetti rappresentati nelle opere di Aziz+Cucher diventa un elemento estremamente significativo: sulla libea di un dibattito che in arte prende avvio dai ready-made di Duchamp per arrivare alla Pop art, al Minimalismo e all’Arte povera, i due artisti mettono in questione il principio di usabilità inserendo negli oggetti amorfi degli elementi convenzionali che ciascuno di noi può riconoscere, ammiccando ed accennando alla vita ordinaria del consumo. Così, anche l’utilizzo abitudinario entra a far parte della dimensione della vita organica, e come accadeva per quest’ultima viene sfidata e messa in discussione dall’astrazione informale che sospende la convenzionalità per produrre una shock alla percezione. Natura e cultura così si invertono le parti, perché se nei ritratti e negli ambienti pseudo-organici è l’inanimato a tendere alla vita, ovvero è la cultura che si fa natura in maniera asintotica senza riuscirci e mantenendo la tensione, in questi oggetti è la naturalità dell’organico a cedere la vita per consegnarsi alla culturalità dell’arnese, anche qui fallendo nel suo stesso tentativo.
L’immaginario contemporaneo si nutre a piene mani di questo confine invisibile e complesso tra organico e inorganico, tra funzionalità e astrattezza informe; se la narrazione sci-fi di molto cinema di fantascienza ha giocato su questo piano attraverso la realizzazione sofisticata di nuove tecniche di rappresentazione, effetti speciali, animazioni di computer-grafica, per dare vita a ciò che non ha vita, l’arte di Aziz+Cucher recupera una dimensione ben più naif, perché punta all’essenzialità piuttosto che all’effetto. Aziz+Cucher compiono un percorso a ritroso alle origini della definizione della dicotomia, cogliendo nelle loro immagini il punto teso e vibrante in cui le due dimensioni si scambiano continuamente la parte nella loro irrisolta unità.
Come dicevo, nell’immaginario contemporaneo questa dimensione di confine irrisolvibile di organico e inorganico ha grande presa, e sono molte le traduzioni nell’ambito della popular culture dove tale potenziale di fascinazione è stato investito; uno su tutti, pensiamo ad alcuni episodi della videomusica degli anni ’90 e 2000, e nello specifico alle opere di Adam Jones per la band americana Tool. Jones, anche chitarrista del gruppo, mette in scena psudo-narrazioni in ambienti futuristico-astratti, con protagonisti che restano sul limite tra umano e inumano, tra organico e inorganico. Le “storie” che si sviluppano in questi ambienti post-industrial, come per il video di Stinkfist, fanno riferimento al passaggio dalla dimensione del nulla assoluto della materia insensibile (qui rappresentata dalla sabbia) alla costituzione di una vita che oscilla tra la mera apparenza e la reale configurazione esistenziale. Si tratta di qualcosa di ancora più profondo della dicotomia vita/morte, perché l’arte di Aziz+Cucher e i video di Adam Jones dimostrano, in maniera indiretta e allegorica, come la morte non si opponga alla vita essendone la quintessenza; la morte infatti compete l’organico, mentre qui si tratta di indagare ciò che sfugge eternamente all’esistenza e alla natura cogliendolo nell’istante stesso in cui ambisce a farsi vivo e riconoscibile.