Il doppio fa differenza

Double Fantasy è un progetto fotografico e video-artistico, a quattro mani, ospitato all’interno di un appartamento che – per scelta del proprietario – ha rinunciato alla sua tradizionale funzione abitativa per assumere la silhouette di uno spazio espositivo.

La formula è innovativa e allettante: le artiste dialogano sulle loro opere con i visitatori, che transitano dal salone alla camera da letto. Le didascalie sono sostituite dalla parola viva che, insieme alle immagini proposte, contribuisce a decostruire le consuete definizioni di uomo e donna, di pubblico e privato, insieme ad altri dualismi propri della cultura occidentale.

Il numero due è la chiave di lettura con cui ci accingiamo a descrivere e a (ri)pensare la peculiarissima esperienza estetica vissuta all’interno della Casa Vuota. Saliamo le scale di una palazzina del Quadraro, uno dei tanti quartieri di Roma, e veniamo accolti nel disimpegno di un appartamento privato, da alcuni anni utilizzato, ma sarebbe meglio dire “risemantizzato”, come galleria d’arte o piccolo museo. La casa è letteralmente vuota, anonima, abitata solo dai pannelli fotografici e dai video fruibili dai visitatori, che entrano ed escono ogni venti minuti circa, previo appuntamento. Siamo accolti da Sabino de Nichilo e Francesco Paolo del Re, direttori artistici dello spazio espositivo, che ci forniscono alcune brevi, essenziali informazioni sulla storia della casa e sulla mostra, allestita da Gaia Bobò.
Vuoto e pieno: il primo dualismo in cui siamo costretti ad imbatterci.

La Casa Vuota, come preannunciato dal nome, non è arredata, non è satura di oggetti utilizzabili o di ammennicoli più o meno decorativi, come invece si presentano tante nostre abitazioni. Eppure, la vuotezza in gioco qui ed ora non è semplicemente il contrario della pienezza, ma piuttosto la Neutralità “di ciò che non propende in un senso piuttosto che in un altro, di ciò che non si caratterizza in una maniera piuttosto che in un’altra, ma mantiene completa in sé la propria capacità di progresso” (F. Jullien, Elogio dell’Insapore). Tra le stanze e le opere, così come tra le opere stesse – non più di sette tra video, videoinstallazioni e poster fotografici – è possibile cogliere una dialettica non appariscente, un dialogo silenzioso e ininterrotto. L’atmosfera “insapore” dell’ambientazione accentua la forza interrogante delle opere, che a loro volta non si impongono l’una sull’altra ma si equilibrano e predispongono il visitatore ad assumere una posizione puramente ricettiva.

Due sono le artiste che espongono i loro lavori, alcuni adagiati sul modesto mobilio dell’atrio di ingresso, altri appesi sulle pareti trasandate del ripostiglio, del salone o della camera da letto: Milica Cirovic, di origine serba, e Ola Czuba, di origine polacca, entrambe formatesi all’Accademia di Roma. La prima propone un trittico fotografico, See You in the Obituary (2017), oltre a The Patriarchs – The President (2019): si tratta complessivamente di quattro poster in cui l’artista è anche performer. Grazie ad un vertiginoso travesti al contrario – è raro che una donna assuma sembianze maschili – Milica Cirovic conduce un’interessante ricerca iconografica sulle strutture antropologiche dell’immaginario patriarcale. Le prime tre immagini restituiscono il modello di virilità incarnato dai giovani serbi, durante la guerra nella ex-Yugoslavia, dove le teste rasate, lo sguardo tagliente, la postura possente e i capi di abbigliamento kitsch connotano un’identità che si vuole forte, ricca e dominante. La quarta, espressamente ispirata dal Presidente Putin, raffigura l’emblema del potere maschile, seduto sul suo trono, a gambe aperte, simbolo di un’illimitata disponibilità al godimento.

L’artista decostruisce il mito della virilità dall’interno, alludendo con opportuni accorgimenti visuali all’originaria androginia propria di ognuno e smontando i dualismi a cui ancora oggi è saldamente ancorata la cultura occidentale: uomo/donna, forte/debole, positivo/negativo, razionale/irrazionale. I registri sensoriali del visivo, del tattile – e in qualche modo persino dell’olfattivo – sono abilmente evocati in Annonciation without Gabriel (2018), video in cui una mano femminile gioca con un fiore, ora accarezzato con delicatezza ora afferrato con forza: le evidenti allusioni falliche si alternano alla celebrazione della fecondità femminile, con una suggestiva e nomadica inversione di ruoli, che intende rompere la tradizionale dicotomia maschio/attivo, da una parte, e femmina/passiva, dall’altra.

La dualità uomo/donna, ricca di mistero e di ambiguità irrisolte, è oggetto di indagine anche dei lavori di Ola Czuba, che contribuisce alla mostra con un’installazione, due video (in uno di essi è performer), e una videoinstallazione.

In particolare, in quest’ultima, intitolata Controtransfert (2016), assistiamo alla plastica messa in scena della domanda sull’identità sessuale. Un uomo e una donna, vestiti con abiti del Settecento, quando le differenze di genere apparivano socialmente più marcate, invertono la loro postura e la loro posizione, transitando da destra verso sinistra e viceversa. Non solo la modernità è liquida, ma anche le qualità canonicamente attribuite ai sessi, che cessano pertanto di configurarsi come dei caratteri “naturali”, ascrivibili ai corpi biologici. Non c’è genetica senza cultura, anzi la cultura è come una seconda natura: il doppio si raddoppia, il maschile e il femminile si cercano, si inseguono, si incrociano, si invertono.

Il che non equivale a dire, però, che si conoscano o che si riconoscano. Come direbbe Lacan, infatti, “Il n’y a pas de rapport sexuel”: non è possibile fare Uno con l’Altro attraverso la sessualità.

111887 Ola Czuba Controtransfert 2016 Videoinstallazione Due Monitor

La mostra continua
Casa Vuota

Via Maia 12 – Roma
dal 19 gennaio al 7 marzo 2021

Double Fantasy
di Milica Cirovic/ Ola Czuba
a cura di Gaia Bobò