Quando le suorine fanno cucù

Lo scorso 2 ottobre è stata inaugurata nella splendida Villa Borbone, a Viareggio, la mostra retrospettiva dedicata a Eugenio Pieraccini, Da Viani alla piena maturità. Un invito a giocare e a non prenderci troppo sul serio, all’insegna di una sana e divertita autoironia.

Al vernissage i visitatori hanno ascoltato critici e storici dell’arte, oltre ai rappresentati delle istituzioni, il vice sindaco di Viareggio Rossella Martina e il presidente di Fondazione Arpa, Franco Mosca. Tuttavia, tra i vari interventi è stato soprattutto il primo, quello di Marco Pieraccini, figlio dell’artista, a offrirci una chiave di lettura significativa per comprendere l’attività del padre.

Ne è emersa la figura di un uomo sanguigno, guidato dal desiderio di conoscere, un desiderio che trovava nutrimento nel rapporto con gli altri (e con altri intendiamo gli artisti e gli intellettuali che usava frequentare: Levy, Migneco, Guidi, Mars, Treccani, Carrà, Battaglia, solo per citarne alcuni) e che si traduceva sempre in una vivace attività organizzativa.

Passata la bagarre dell’inaugurazione, essendo rimasti incuriositi dalle sue parole, abbiamo chiesto di incontrarlo nuovamente per approfondire il discorso e conoscere meglio Eugenio Pieraccini.

Rimasto solo con le due sorelle, dopo la partenza del padre per l’America, Eugenio Pieraccini, terza elementare in pugno, si dedica ai più diversi lavori – dal gettarsi nel fiume insieme agli altri ragazzetti per racimolare spiccioli dai turisti, al vendere le torte ai viaggiatori dei treni notturni. Il tempo passa e, messa su famiglia, anche gli impegni e le attività cambiano. Eppure l’artista non cessa di proseguire con determinazione la sua ricerca; tentando, nel contempo, di soddisfare la propria sete culturale, anche con frequentazioni di colleghi pittori e scultori. Basti ricordare che, di quegli anni, sono l’ideazione del Premio di Pittura Lorenzo Viani (1952) e della prima Marguttiana a Forte dei Marmi (1962).

Nel 1966 Pieraccini costruisce il Bagno Tai di Vittoria Apuana, di fronte al capannone di Dazzi. Ed essendo, quello, un periodo in cui molti artisti e intellettuali passavano le vacanze in Versilia, a qualche centinaia di metri abitavano Bonvi e Jacovitti, Treccani, Degrada, Migneco, Battaglia, Guidi e Maccari. Il Bagno si trasformò presto in un atelier a cielo aperto dove si ritrovavano in tanti per trascorrere pomeriggi sul mare, discutendo, giocando, mangiando. Nel 1980 quest’epoca magica ha termine. Nel momento in cui la carriera di Pieraccini iniziava a prospettarsi più serena, proprio allora, quando le cose cominciavano a procedere in discesa, l’artista si spegne, a soli 58 anni, in una sera di fine agosto.

«Dopo la sua morte ho compreso quanto sia importante coltivare la sua memoria», ci spiega Marco Pieraccini, che continua: «Perciò, ho deciso di ricordare quanto ha fatto. È morto troppo presto, e sto cercando di proteggere il suo lavoro dall’oblio. La mostra che abbiamo organizzato ripercorre quarant’anni di attività, una sorta di essai, in cui si segue l’evoluzione del suo stile e della sua ricerca».

Insieme a lui, percorriamo virtualmente la mostra. Nelle prime sale ci attendono i quadri dei tardi anni 40 e 50, popolati principalmente da suorine e prelati, davvero molto curiosi. Come in un gioco per bambini, le figurine guardano il visitatore con espressioni strane, a volte sospese fra il perplesso e il basito. Alle suorine che, in diverse opere, si sporgono lateralmente, oltre i personaggi in primo piano, viene da fare il verso; mentre rimaniamo stupiti della posizione delle loro piccole mani che le fanno assomigliare a coniglietti. Viene spontaneo chiedersi chi siano questi personaggi. Animaletti docili, o figure che ci stanno prendendo un po’ in giro? Se molti – come le suorine che fanno cucù o i preti che vanno sulle giostre – sembrano giocare con il visitatore, altri sono raffigurati con un intento satirico (vedasi i preti che languono davanti a sensuali alberi della cuccagna). E, a questo punto, sorge spontaneo chiedere a Pieraccini quale fosse il rapporto del padre con la Chiesa.

«Aveva molta stima del mondo clericale perché pensava che, tutto sommato, fosse composto dalle persone più furbe all’interno della società. Se un politico, infatti, rischia di perdere la poltrona; un prete non corre mai questo pericolo. Per la briscola ricordo che faceva coppia fissa con il parroco di Lido di Camaiore, Don Bruno. Il suo intento era quello di rendere il lato umano e giocoso di prelati e suore. E se i cardinali pescano sirene, non è perché ironizzasse sui loro appetiti. Piuttosto, polemizzava contro le gerarchie. Era l’epoca della Democrazia Cristiana e la Chiesa non faceva che presentarsi come santa, pura e immacolata. Mio padre voleva scardinare questa visione, mostrare che preti e suore erano prima di tutto e fondamentalmente esseri umani».

Man mano che si procede, nelle sale e cronologicamente, notiamo che anche i soggetti e lo stile si modificano. I colori, fin dall’inizio vivaci, si fanno ancora più brillanti, le campiture uniformi e accese; mentre il disegno diventa più stilizzato, quasi grafico, con elementi decorativi. Se da un lato i soggetti rimangono i protagonisti di un gioco venato d’ironia, che lancia strali contro la realtà sociale, senza scadere in bieche velleità o cattiverie; dall’altro, si passa dalla prevalenza di figure clericali a quella di personaggi dell’immaginario circense. Spose dai seni tondi e sodi come palle di gomma; donne rivestite di trasparenze che si incontrano/scontrano in Eden paradossali con uomini immobili, accomunati da un’espressione ferma e imperscrutabile, quasi fossero in maschera. La domanda successiva riguarda proprio questo aspetto, ossia una certa naiveté, attribuita dalla critica alle opere di Pieraccini.

«Il termine se utilizzato in senso stretto non ha motivo di essere in riferimento alla sua pittura o alla sua ricerca stilistica. Se si intende, al contrario, l’essere naïf il frequentare temi insoliti, non tradizionali e soprattutto fruibili anche dai bambini, allora sì, posso concordare».

Conoscendo l’uomo, oltre che l’artista, si ricorda che Pieraccini provava una forte passione politica e, soprattutto, aveva vissuto la guerra credendo fortemente negli ideali della Liberazione partigiana. Eppure, il discorso politico (se si escludono poche opere) non sembra ricoprire un ruolo preciso nell’insieme delle sue opere. Anche su questo punto è Marco a fare chiarezza: «Mio padre era una persona molto solare ed estroversa, aveva una visione ottimistica e piena di speranza. Portava il sole dentro di sé ed era convinto che tutto si sarebbe risolto, e che i grandi drammi in fondo non esistono». Scopriamo così che, anche in mezzo alle avversità – e questa sarà una caratteristica che non lo abbandonerà mai – Eugenio Pieraccini non si sgomentava, riuscendo a mantenere sempre il sorriso, e quell’ironia lieve e gentile che lo contraddistingueva come artista e come uomo. Ed è questo ciò che ci colpisce di più: la sua straordinaria forza d’animo e di spirito. Un’energia positiva che fa sì che, anche nelle sue opere, persino il dramma – se presente o solo accennato – possa dirsi sempre effettivamente risolto con la consueta leggerezza e ironia.

Nel percorso della mostra si percepiscono un’indipendenza intellettuale e artistica, un’onestà di fondo e una serenità, che, unite al piglio – che i quadri non mancano di restituire – assurgono a cuore, complesso e profondo, dell’opus dell’artista viareggino.

Prima della chiusura, il prossimo 18 ottobre, ricordiamo che venerdì 16 si terrà l’asta di beneficenza a favore della Fondazione Arpa, durante la quale saranno battute diverse litografie che i fratelli Pieraccini hanno donato alla Fondazione, cui verrà interamente devoluto il ricavato.

La mostra continua:
Eugenio Pieraccini. Da Viani alla piena maturità
mostra retrospettiva nel trentacinquesimo della scomparsa

Villa Borbone
viale dei Tigli – Viareggio (LU)
fino a domenica 18 ottobre
orari: tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00
(ingresso libero)