Una pittura fuori dal tempo, carica di tempo

Giorgio Morandi è protagonista della mostra visitabile fino a giugno presso il Complesso del Vittoriano; pittura e filosofia si incontrano nell’opera di un grande artista.

Quella di Giorgio Morandi è un’avventura creativa irrinunciabile per comprendere le sorti dell’arte del Novecento, una produzione che ha offerto molto materiale interpretativo da una prospettiva filosofica e psicoanalitica e che ancora oggi è capace di interrogare lo sguardo critico dinanzi a temi cruciali come il significato del tempo. Al Complesso del Vittoriano, a quarant’anni dall’esposizione storica organizzata da Cesare Brandi presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il pittore bolognese torna protagonista con una ricca mostra che, ripercorrendone le tappe essenziali, offre al pubblico una panoramica esauriente di questo protagonista dell’arte contemporanea; in anni in cui le avanguardie avevano esteso il loro dominio nel mondo della cultura visiva (dagli astrattismi al Surrealismo al Dadaismo di Duchamp), attraversando gli anni dell’Informale e dell’Espressionismo astratto fino ad arrivare alle esperienze rivoluzionarie della Pop Art nonché alla sovrapposizione di arte e produzione industriale, Morandi compulsivamente ha continuato a mantenere costanti i suoi temi e il suo immaginario.

A prescindere dalle tecniche, che come evidenzia la mostra vanno dalle acqueforti ai disegni, dagli acquerelli all’olio su tela, Morandi ha comunque sempre risentito dei generi che animavano l’arte europea nel corso di quasi un secolo intero: le sue natura morte spesso riflettono la metafisica di De Chirico e di Carrà, altre volte le tinte sporche e terrose, e la materia pastosa di cui sono composti gli sfondi dei suoi tavoli imbanditi dalle medesime brocche, bottiglie e bicchieri, ammiccano all’Informelle e al Materismo, nonché alle campiture monocrome di Rothko. Ma questi riferimenti per Morandi non hanno mai significato l’abbandono della figura: la sua pittura è rivolta al reale, ma non nel senso di un ingenuo ritorno al didascalismo naturalista, perché la verità che Morandi ricerca attraverso la pittura è ben più profonda e segreta di quella che si rivela abitualmente ai nostri occhi. Questo il paradosso metafisico dell’arte morandiana: attraverso oggetti isolati e galleggianti nel nulla cosmico, fuori da ogni contingenza e temporalità ed eterni nella loro mera presentificazione, quest’arte mette proprio in scena il tempo stesso, ovvero la storia e l’esperienza che si stratifica su quegli oggetti apparentemente innocui e noncuranti della sorte del mondo. Per questo i fiori sono più che semplici fiori, quasi organismi carnivori o interiora che esprimono l’orrore nei confronti del mondo, ed è per questo che le conchiglie, dipinte durante gli anni della guerra, sono la testimonianza conturbante della catastrofe, nella loro contorsione e nella loro spigolosità.

Insomma, per quanto fuori dal tempo, per quanto lontane dal mondo, proprio in questa loro lontananza queste immagini esprimono in negativo il mondo dal quale si sono allontanate per tacere, quasi fossero reperti archeologici mai esistiti provenienti da un’epoca indecifrabile e probabilmente mai avvenuta. Il tempo è protagonista in Morandi: ripetere ossessivamente gli stessi temi e figure, pensiamo alle bottiglie, può dimostrarsi la coazione a ripetere che immobilizza lo spirito nel ritorno del sempre uguale, ovvero nella staticità incessante dell’eterno; ma a ben vedere, Morandi non ha mai dipinto due volte lo stesso quadro, riuscendo a cogliere l’autentica essenza della “differenza” che non può non darsi se non nella ripetizione. In questo senso, la coazione a ripetere si rivela elaborazione del lutto, e la pittura di Morandi diventa paradossalmente una testimonianza del tempo che scorre, reso sensibile nei mutamenti di prospettiva, nelle variazioni di colore e luce, nell’aggiunta o nella sottrazione di determinati oggetti. Queste “cose”, che come direbbe Heidegger, qui in Morandi riescono a manifestare tutta la loro “cosità” privandole di un principio di uso pragmatico che nell’esperienza riesce a subordinarne lo spirito (nella vita la bottiglia si usa, si riempie, si svuota, non possiamo metterci in suo ascolto o contemplarla nella sua cosità), vengono ripetute per renderle diverse, e così facendo catalizzano il tempo e si fanno espressione del tempo stesso; accade anche per la serie dei paesaggi, che non sono mai le lande pacificate che dipingerebbe un ingenuo pittore di esterni.

Anche i paesaggi diventano emanazione della cosità, fino ad assimilarsi ai medesimi schemi compositivi delle nature morte; il tragitto della mostra del Vittoriano, Giorgio Morandi 1890-1964, diventa così un accesso alla “vita bloccata” delle nature morte (che non a caso è tradotto in inglese con “Still life”), e vedersi circondati da tutti questi quadri uguali, ma soprattutto diversi, significa sentire la temporalità, in tutta la sua ineludibilità, scorrerci affianco e dentro.

La mostra continua:
Complesso del Vittoriano
Roma

Giorgio Morandi 1890-1964
dal 28 febbraio al 21 giugno 2015
dal lunedì al giovedì dalle ore 9.30 alle ore 19.30
venerdì e sabato dalle ore 9.30 alle ore 22.00
domenica dalle ore 9.30 alle ore 20.30