La nobile e inesausta fluidità della video-immagine

Una mostra a Roma organizzata in due sedi diverse ripercorre l’esperienza pluridecennale della videoarte nel nostro paese, mettendone in evidenza l’impulso sperimentale e la sua irrisolta complessità.

Tutto ciò che concerne l’arte è restio a catalogazioni rigide, a classificazioni definitive, a terminologie esaustive, anche perché per definizione l’universo dei linguaggi artistici è sancito da ciò che paradossalmente il linguaggio stesso non può mai tradurre in argomentazioni e concetti. Se questo è vero per l’arte in genere, l’arte contemporanea, a partire dal XX secolo, ha amplificato questo assunto ponendosi su un piano di fluidità tale che l’unico paradigma che per decenni è stato adottato risulta essere l’assenza stessa di paradigmi.

Come a imbuto, stringendo ulteriormente le nostre considerazioni, questo carattere transeunte, questa fluidità ontologica ed espressiva, viene elevata a potenza dinanzi a quelle sperimentazioni artistiche che riguardano le immagini in movimento e l’adozione della tecnologia elettronica. Nessuna esperienza artistica è tanto sfuggente e difficilmente incasellabile quanto la videoarte: sorta alla fine degli anni ’50 con le performances e le installazioni del movimento Fluxus, la videoarte non può venire ridotta a un genere specifico, né su un piano sincronico né diacronico. Quando pensiamo alla videoarte mettiamo in relazione produzioni molto diverse tra loro, sia sul piano relativo ai dispositivi adottati o alla tipologia delle tecniche, sia sul piano estetico e intenzionale, ovvero inerente le strategie espressive messe in azione.

Se c’è un elemento che mette in relazione tutto ciò che orbita nella costellazione videoartistica, è senz’altro l’immagine in movimento, ma potremmo anche aggiungere l’adozione dell’elettricità e dell’elettronica – in questo caso però escluderemo il mondo del cinema sperimentale in pellicola, del cinema astratto, che spesso infatti viene erroneamente inserito nella costellazione di cui sopra. Per fare ordine – per quanto possa essere possibile perché un ordine definitivo è quanto mai ambizioso in questo caso – possiamo ritenere che la videoarte coinvolge videoinstallazioni, arte interattiva, videosculture, video monocanale, esperienze registrate di videoteatro o videodanza, computer art, fino ad arrivare a settori quali quelli della videomusica o del linguaggio pubblicitario. Questi ultimi, appartenendo all’ambito commerciale, spesso sono stati snobbati dagli artisti “stricto sensu” rivelandosi invece gli ambiti applicati più vitali capaci di dare dignità all’autoreferenzialità cervellotica di molte loro creazioni.

A offrire un cospicuo supporto per districarsi all’interno di tali questioni è un progetto espositivo curato da Valentina Valentini, una delle massime autorità in ambito di studio e critica della videoarte, che a partire da aprile anima la stagione culturale romana fino a settembre.
Si tratta di Il video rende felici. Videoarte in Italia, che come attesta il titolo rivolge la sua attenzione all’esperienza del nostro paese, da decenni detentore di una nobilissima tradizione legata propria alla videoarte. L’attenzione filologica dimostra un’intenzione divulgativa lodevole, perché d’altronde questo genere di arte-di arti ormai è stato storicizzato e rappresenta un patrimonio multimediale di indubbio valore, dal momento che è capace di mettere in connessione la storia del cinema e dell’arte con quella del teatro e della televisione.

Nelle due sedi espositive, ovvero la Galleria d’arte moderna e il Palazzo delle Esposizioni, il percorso ambisce all’esaustività, anche se spesso tende troppo i limiti dell’universo videoartistico italiano correndo il rischio dell’incoerenza. Un rischio affrontato con coraggio e audacia, anche perché la cosa più complicata è spiegare ed evidenziare come gli sviluppi della videoarte, le sue sperimentazioni e le sue intuizioni espressive, siano stati in grado di influenzare e ispirare l’immaginario degli ultimi decenni.

Alla Galleria d’arte moderna, la videoinstallazione di Daniel Buren e la videoscultura di Umberto Bignardi ci aiutano a mettere in relazione le sperimentazioni video-elettroniche con la “tradizione moderno-contemporanea” legata al concettualismo. In Buren, così come per l’opera Il vapore di Bill Viola nonché per la videoscultura Water di Fabrizio Plessi, diventa essenziale uno dei principi rivoluzionari che la tecnologia video ha apportato nell’universo dell’arte: la possibilità del circuito chiuso, ovvero della registrazione e della restituzione simultanea dell’immagine, elemento impensabile nella tecnologia chimico-meccanica del cinema. Uno dei primi artisti italiani a sperimentare con i disturbi di frequenza video e radio, Fabio Massimo Iaquone, è presente con un video monocanale del 1991 dal titolo VerveS sulle OndE. Televisori e schermi durante il percorso accolgono video monocanali di Fabio Mauri, Cosimo Terlizzi, Franco Vaccari e Masbedo, video analogici convertiti in digitale, oppure opere realizzate direttamente in digitale.

Inutile segnalare come, proprio in relazione a quanto detto prima, il criterio della discrezionalità sembra essere l’unico possibile. D’altronde, all’orizzonte videoartistico quello delle “arti digitali” spesso si sovrappone, si confonde, anche quando non dovrebbe. Ad aiutare il visitatore ci sono le rassegne dei video  monocanale che raccontano l’esperienza di alcuni importanti Festival legati alla videoarte, dall’edizione del 1993 del Taormina Festival interamente dedicato proprio a Bill Viola al racconto dei centri di produzione legati agli anni 70 come art/tapes/22 di Firenze. Grazie alla proiezione in loop della selezione dei video, il fruitore riesce anche a farsi un’idea di nomi e autori imprescindibili della cultura visuale-artistica italiana; un modo per onorare molti di questi autori sarebbe quello di specificare come l’immaginario commerciale, pubblicitario, videomusicale, televisivo debba tantissimo alle loro sperimentazioni avanguardistiche – magari anche contro le loro ambizioni, dal momento che il ripudio dello sfruttamento massmediale delle intuizioni e delle soluzioni estetiche di questi artisti ha prodotto un autoisolamento che ha condannato molti di questi nomi a finire nell’oblio. La sezione “Video e televisione” merita a tal proposito attenzione, perché tenta di colmare questa lacuna – le sigle e le grafiche animate di Mario Sasso e Giacomo Verde ne sono una testimonianza evidente – fino ad arrivare alle produzioni Rai di cinema astratto e concettuale, nonché i materiali legati alla danza, al teatro e all’architettura, che forse gonfiano troppo ogni ambizione di esaustività.

L’allestimento di Palazzo delle Esposizioni sfrutta al meglio la scenografia dei suoi grandi spazi ed è per questo che qui sono state accolte le video-installazioni più significative, abbandonando il settore della produzione monocanale: dall’ambiente installativo Film Ambiente di Marinella Pirelli a Coro di Studio Azzurro – che impongono di ripensare il confine labile tra dimensione ludica e dimensione propriamente artistica – da Michele Sambin che ha aggiornato una sua opera della fine degli anni 70 agli spesso trascurati Giovanotti Mondani Meccanici, che negli anni 80 proposero le prime narrazioni digitali in computer comics.

Una cospicua parte del percorso è dedicata ad artisti ben più giovani, che hanno ereditato l’esperienza della videoarte dei decenni passati: dalle sperimentazioni di robotica e AI di Donato Piccolo all’installazione videosonora di Daniele Puppi, fino al lodevole impegno di Technologies of Care di Elisa Giardina Papa – tra i pochissimi a mettere la sperimentazione videoartistica al servizio di una causa di sociale specifica e attuale, come la condanna elle forme di lavoro precarie – per arrivare a Quayola e al suo tipico approccio sperimentale nei confronti dell’arte del passato, rivisitata e trasfigurata a partire proprio dal linguaggio algoritmico.

Un materiale immenso, dai risvolti innumerevoli, che attraversa settori anche molto lontani tra loro: Il video rende felici riesce magnificamente a dimostrare la complessità della videoarte, la profondità delle implicazioni estetiche e linguistiche, ma anche il perpetuo rischio di formalismo tautologico e autoappagante a cui questa arte si espone. Una mostra che, considerando anche i numerosi talk e le numerose rassegne, spinge la percezione del fruitore a scoprire cose che avrebbero meritato maggiore attenzione; un percorso che ai visitatori più attenti porterà numerose domande, ma che difficilmente riuscirà a dare un contributo per fare ordine perché d’altronde è proprio la natura stessa della videoarte e dell’arte elettronica opporsi a qualsiasi organizzazione chiarificatrice.

La mostra continua:
12 aprile – 4 settembre 2022

Galleria d’arte moderna
Via Francesco Crispi 24 – Roma
dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle 18.30

Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale 194 – Roma
domenica, martedì, mercoledì e giovedì, dalle 10.00 alle 20.00
venerdì e sabato, dalle 10.00 alle 22.30

Il video rende felici. Videoarte in Italia
a cura di Valentina Valentini