Dall’arte come utopia all’arte come distopia

Tra le mostre più celebrate dei questa estate romana, la personale dedicata al maestro di Biella tenta di recuperare il significato etico dell’arte, proprio quando una sua installazione al centro di Napoli viene distrutta da un incendio doloso, atto che la dice lunga sulla speranza redentiva dell’arte contemporanea.

All’alba del 12 luglio, in Piazza Municipio a Napoli è andata distrutta un’installazione presente da appena 15 giorni; si è trattato di un incendio doloso che non ha salvato nulla della Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, omaggio che l’artista aveva dedicato alla città di Napoli reiterando un’immagine che ha assunto un’indubitabile valenza iconica. D’altronde, fin dalla fine degli anni ’60, la Vergine degli stracci, ovvero l’installazione composta dalla riproduzione di una statua neoclassica esibita di schiena, mentre contempla una montagna di stracci dinanzi a lei, è stata riproposta, ricreata, serializzata al punto da aver perso qualsiasi principio di unicità. Come è nelle corde della tradizione dell’Arte povera e prima ancora della Pop art americana, come aveva insegnato Marcel Duchamp a inizio secolo, sono il gesto e l’idea a fare l’opera d’arte, non l’oggetto in sé. Per questo l’opera di Pistoletto può essere vista e fruita in decine di musei in giro per il mondo, in mostre personali dell’artista, in collezioni private, ma anche come era nel caso di Napoli nelle piazze e negli ambienti pubblici.

Per quanto scriteriato e criminale, il gesto a cui facciamo riferimento non ha recato una ferita indelebile nell’arte contemporanea: Pistoletto sa bene che basterà sostituire i materiali con una spesa minima rispetto all’eternità dell’idea artistica, che invece pur passando per la materia la trascende “infinizzandosi” spiritualmente. Anzi, il rogo, richiamando le esecuzioni pubbliche dei secoli bui, sembra il rito più adeguato al dissolvimento dell’opera nell’infinito, per quanto violento e irrispettoso nei confronti dell’arte, dell’artista e della città. Si dice che fosse in corso una sorta di “contest” sui social per trovare chi fosse disposto all’atto, e la presa di posizione furiosa dell’artista è più che comprensibile, dato che ha fatto riferimento a come l’ignoranza abbia mostrato il suo lato peggiore. Questo è senz’altro vero, e tuttavia nell’analisi dell’evento non si può escludere totalmente la comprensione dell’attitudine originale e caratterizzante di Pistoletto. Chi ha visitato o vorrà visitare, entro il prossimo ottobre, la mostra in corso al Chiostro di Bramante di Roma dal titolo Infinity e totalmente dedicata alla carriera e all’opera di Pistoletto, potrà cogliere quale sia tale attitudine.

Tanto l’evento esecrabile quanto la mostra coincidono temporalmente con una fase di ulteriore amplificazione del successo e dell’affermazione internazionale dell’artista classe 1933, ormai un classico-contemporaneo celebre in tutto il mondo, un’artistar a cui i maggiori musei internazionali hanno dedicato personali di prestigio e che ha mantenuto un’impronta costante nella storia dell’arte dagli anni Sessanta a oggi. Nel percorso espositivo, il fruitore viene accompagnato in un’esperienza sinestetica e corporea che mette in relazione profonda questa mostra con le precedenti collettive organizzate sempre al Chiostro, come Crazy e Love, mostre che cedevano chiaramente alla lusinga della dimensione ludica e di entertainment a cui lo stesso Pistoletto non sembra affatto ostile. Di fatti, partendo dall’Arte povera come acquisizione di materiali umili inconcepibili nella sfera artistica e riscattati nella composizione installativa – come appunto dei terribili “stracci” che assumono così una dimensione etica se non persino spirituale – Pistoletto continuò con l’utilizzo di materiali bassi, industriali, cartacei, vicini alla spazzatura, ma a far compiere all’artista l’ulteriore salto rispetto ai propri colleghi c’è una radicale presa di adozione della dimensione interattiva, partecipativa. Di qui, i famosi specchi di Pistoletto, che animano le sale del Chiostro, per arrivare a Love Difference – Mar Mediterraneo dove il pubblico è accolto in una sala cerimoniale che attende istituzioni e semplici cittadini per un utopico futuro di pace e conciliazione.

La dimensione partecipativa è evidente nell’installazione dell’ultima sala, ovvero Terzo Paradiso, dove gli spettatori sono chiamati a suonare piatti e pentole sistemati nella grande sala, come a voler intendere che la musica, nella sua spiritualità, è in grado di travalicare i confini fisici e concettuali tra le persone e tra le persone e il mondo. È proprio questo il valore utopico dell’arte di Pistoletto, forse un utopismo ingenuo ma di quell’ingenuità fanciullesca di cui la sua arte può continuare a giovarsi: la dimensione partecipativa come occasione di riscatto della collettività, capacità di superare le divisioni per una riconciliazione superiore in grado di rimettere in connessione i pezzi e i frammenti. Questo è l’infinito a cui allude la grande opera nel recinto del cortile: sono gli stracci a diventare simbolo di infinità, quasi come se solo gli stracci e perciò i frammenti possano ambire ad avvicinarsi a un piano divino. L’infinito che si pone solo col superamento del rapporto di ostilità tra immagine/opera e fruitore, che invece viene interpellato, entra nell’opera, crea una cesura nella concezione sacra dell’arte e sacralizza invece se stesso per entrare con l’artista nel grande infinito.

E tuttavia, l’infinito è un 8 rovesciato, una serie di cerchi, e come un cerchio torniamo al fatto di cronaca che mette in evidenza un’altra prospettiva dell’arte pistolettiana: nell’epoca dei leoni da tastiera e della concessione libertaria globale all’opinione e all’azione da parte di chiunque, cosa significa realizzare o proporre un’arte che si basa sul principio del coinvolgimento? Qual è l’altra faccia dell’utopia se non l’istinto distruttore distopico, che spinge all’azione colui che intende, nella migliore delle ipotesi, sfogare la sua ira accumulata? La distruzione dell’opera del maestro è perciò anche un’occasione, per quanto di evidente stampo criminale, di comprendere ulteriormente il senso profondo della sua produzione e il suo posto nella società contemporanea, la faccia di medaglia alternativa, complementare e opposta, alla celebrazione trionfalistica della mostra Infinity: d’altronde, l’infinito non conosce facce e comprende tutto in sé, il bene e il male innanzitutto.

photo credits @romatoday.it @Artribune.com @L’Unità 

La mostra continua
Chiostro del Bramante
Arco della Pace, 5 – Roma
dal 18 marzo al 15 ottobre 2023

Infinity. Michelangelo Pistoletto
L’arte contemporanea senza limiti
a cura di Danilo Eccher
dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 20.00, sabato e domenica dalle 10.00 alle 21.00