Sogno di una paradisiaca segreta

Dal 22 settembre al 3 novembre la White Noise Gallery si reinventa giardino delle meraviglie ospitando Jesùs Herrera Martìnez. Taking Care of the Garden of Eden, personale dell’omonimo artista.

Un fascio di luce sorvola il vetro trasparente delle affascinanti cristalliere al cui interno si rifugia la vegetazione sognata del mondo idilliaco. Nella curata White Noise Gallery, al numero civico n°9 dell’appartata Via della Seggiola nei pressi di Largo di Torre Argentina, rigogliosa prospera rinata la natura nelle opere dell’artista spagnolo (classe ’76) Jesùs Herrera Martìnez. Affascinato dai giardini di Copenhagen, città dove si trasferisce nel 2015, l’artista nell’esposizione Jesùs Herrera Martìnez. Taking Care of the Garden of Eden affronta il tema della ricreazione dell’armonia primigenia, dello sradicamento e dell’avidità umana con estremo rigore e un sapiente uso dell’ironia. Paradosso e realtà fisica si stringono insieme intessendo composizioni ricche di provocanti allusioni metaforiche; l’iperrealtà, marchiata dal sentimentalismo dello sguardo complice del gesto sprezzante, denuncia una condizione rituale che inasprisce e contamina la bellezza organica della vita, tramutandola in un feticcio artificiale della brama di possesso dell’essere umano. Denunce sottili, eppure intellegibili i lavori di Herrera alzano la voce docili, sussurrando i lamenti di un canto malinconico e nostalgico capace di evocare il paradiso perduto.

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Vetrine che custodiscono piante, erbe, e fiori si schiudono come i petali di una Bella di notte nel delicato percorso espositivo. Portable Garden #01Portable Garden#02, Portable Landscape #01, Hoddie + Portable Landscape #02 mostrano tutti un realismo accentuato e la prospettiva appiattita richiamando l’arte dei pittori fiamminghi del 1600, dettagliata ma anche fantasiosa. Il fruitore viene a trovarsi di fronte a micro-giardini artificiali, perfettamente curati, come quelli che molto probabilmente occupano il davanzale della propria finestra in cucina o nella sua camera da letto, o perché no, nel suo bagno. La natura è mutilata: erbe e fiori vengono sradicati dal loro ambiente naturale, e trapiantati in un luogo ostile alla loro sopravvivenza, limitati dalle pareti di vasetti principalmente decorativi. Gabbie dorate sono quelle dipinte dalla percezione dell’artista spagnolo, che mette in chiara evidenza la ferita mortale inflitta alla natura semplicemente dalla smania di potere; il desiderio incontrollato di “avere” e dominare qualsiasi cosa, piegandola al proprio volere è uno spiacevole attributo tipico della razza umana, l’insana perversione dei terrestri che li assoggetta al giogo del comando e del controllo. Solo così viene messa a tacere la paura della propria disfatta. Il supporto-teca è prigione le cui sbarre si possono chiudere all’occorrenza per spostare il minuto micro-cosmo in ogni luogo, solo tramite due bretelle che lo mutano in semi-zaino. Molto evidente è la correlazione con le Wunderkammer, le camere delle meraviglie in voga tra Seicento e Settecento nella residenze dei facoltosi e stravaganti collezionisti. Se da una parte Herrera si sofferma sulla patologia della devianza umana, dall’altra mette in luce anche la possibilità di poter restaurare l’armonia originaria frammentata dall’evoluzione storica. Nomi ordinati affollano lo spazio dei vasi, costruendo le pagine di un articolato erbario, prezioso scrigno d’incanto in cui la flora torna ad essere l’ingrediente principale della ricetta per la beatitudine dell’anima e il connesso senso di quiete da essa derivata.

20180922 184731(0)Particolarmente interessante è l’accostamento della dimensione figurativa veritiera con la rappresentazione percettiva illusoria, che si impone come dominante di un pensiero veicolato dal sentimento soggettivo. Apparenza contro sogno, visione contro verità ogni elemento è deformato dallo schermo della percezione che lo trafigge, e ciò contribuisce all’edificazione del regno utopico, restaurazione di antico benessere venuto a patti con la realtà storica dell’attualità. E se l’esigenza di dare ordine al caos non lascia mai la realtà, l’entropia si disperde conoscendo le creazioni di Herrera. Nella ricostruzione dell’Eden perduto l’artista non dimentica sottolineare la perfezione degli elementi geometrici quali sfere, cubi, poligoni esagonali, ecc… e il loro potenziale temporale di creatori di porte alchemiche, in grado di unire tempi diversi, e capaci di ricondurre all’origine del creato. Ciò si nota, oltre che nella citazione nella parte bassa del dipinto Botanisk Have Kobenhavn, specialmente nell’installazione Naturalis, la quale con l’ausilio di piastrelle esagonali ricompone idealmente il giardino privato dell’intimo di ogni fruitore. Dovunque si può avvertire il senso di casa, di dolcezza e serenità espresso da quel calore dato dagli elementi naturali, che rievocano la pace dell’abbraccio di un chiostro. L’artista struttura la sua analisi con uno spiccato spirito di ricerca prettamente intellettuale. Bellezza e brutalità si compenetrano e dal loro insieme origina l’estetica della necessità dell’alterazione; in questo senso cambiamento e trasformazione coesistono sullo stesso piano semantico e la fragilità si pone non come identificativo di debolezza, bensì come forza generatrice di senso. La sensibilità diviene medium di vitale importanza per la costruzione della visione dell’artista; linfa dell’immaginifica chimera, fragile e affascinante si dischiude nell’incanto di un momento di estasi assoluta.

La mostra continua:
White Noise Gallery
Via della Seggiola, 9 – Roma
dal 22 settembre al 3 novembre 2018

Jesùs Herrera Martìnez. Taking Care of the Garden of Eden
a cura di: Eleonora Aloise, Carlo Maria Lolli Ghetti