Dalla Senna all’Arno

Una cinquantina di opere, soprattutto pittoriche, dei primi del Novecento francese compongono la mostra autunno-invernale di Palazzo Blu, a Pisa.

Nei locali rinnovati a livello di luci e condizionamento, un video esteticamente molto accattivante anticipa l’esposizione grazie al montaggio di una serie di quadri che vedremo in mostra e che, qui, acquistano letteralmente la quarta dimensione, ossia il movimento – i capolavori di Mondrian, in particolare, grazie alle squisite geometrie formali e coloristiche si sposano particolarmente bene con la tecnologia video.
Le opere, provenienti dal Museo d’Arte di Philadelphia, sorto nel 1928, si concentrano su una serie di autori che hanno operato prevalentemente nell’ambito parigino. I quadri sono disposti in maniera cronologica con due o tre opere ad artista (a parte Braque, del quale si espongono quattro nature morte che denotano alcune fasi della sua evoluzione artistica).

Il percorso inizia con il ritratto di un “quasi spaventato” Pablo Picasso, Autoritratto con tavolozza (1906, olio su tela), che segnala anche l’inizio – per il pittore spagnolo – di un nuovo e significativo percorso creativo. A seguire, il dipinto di Georges Braque, Cesta di pesci (ca.1910, olio su tela), anticipa e accenna, con i suoi colori caldi e terrigni, le future scelte, anche di destrutturazione di forme e spazi (propria del cubismo).

Un delicato quadro di Jean Metzinger, L’ora del tè (Donna col cucchiaio, 1911, olio su cartone), dai colori tenui anticipa i furori dissolutivi del cubismo – che mostreranno tutta la propria forza e potenza nel quadro di Pablo Picasso, Uomo con violino (1911-1912, olio su tela), quasi contemporaneo ma con una frantumazione della figura che solo il cromatismo pittorico unifica.

Di Juan Gris, sempre in mostra, Scacchiera, bicchieri e piatto (1917, olio su pannello), che colpiscono per i contrasti di colore (tipici dell’artista) tesi a creare vuoti e pieni nei quali sono inseriti gli elementi essenziali dell’opera che, solo apparentemente, sembra a due dimensioni. Dello stesso autore ma più vicina alle successive opere cubiste, Lampada, (olio su tela, 1916), che dissolve l’oggetto in uno spazio quasi etereo. Anche Francis Picabia con Catch as Catch Can (1913, olio su tela) ricerca, nelle rotondità delle forme e nella plasticità dei colori, un contenuto che rimane pur sempre parziale.

Di Marcel Duchamp non si coglie, nelle opere esposte, il carattere dirompente della sua successiva attività artistica.

Una sintesi, al contrario, quasi perfetta tra volumetria e forme si evidenzia nel bronzo di Raymond Duchamp-Villon, Testa di cavallo (1914-15; fusione precedente al 1937).

Cambiamo passo e arriviamo a un quadro che mette allegria, quello di Marc Chagall, Purim (ca. 1916-1917, olio su tela), ove vita quotidiana e favola si mescolano in un mondo dalle attività capovolte e che, non rispettando i volumi canonici, crea instabilità nell’osservazione (come capita spesso osservando i Cézanne), con – sullo sfondo – quasi un rimando a un futuro Giacometti (al visitatore rintracciarlo).

La sovrapposizione di piani senza fine in un elogio alla meccanizzazione, che riporta alla mente Metropolis, si rintraccia nell’opera di Fernand Léger, Il tipografo, (1919, olio su tela). Mentre è in uno spazio chiuso che convivono apparenze e forme definite come in un caleidoscopio: Cerchi in un cerchio di Vasily Kandinskij (1923, olio su tela) è un mondo in miniatura costretto nella lente di un microscopio.

Quasi un guerriero medioevale nella propria armatura, la composizione geometrizzante di Alexej Jawlensky – Testa astratta: introspettiva – notte (1923, olio su cartone), che colpisce per il rigore sia del colore che delle forme. Del tutto differente l’opera di Robert Delaunay, Tour Eiffel (ca. 1925, olio su iuta), in cui la sua visione coloritistica proiettata verso il cielo in un’ascesa che sembra infinita trasporta il visitatore lontano. Queste sono solo alcune tra le opere in mostra al piano terra: l’esposizione prosegue salendo una scala ove fanno bella mostra di sé le foto-ritratto degli artisti ospitati.

Al piano superiore ritroviamo Georges Braque con Natura morta con piatto di frutta (1936, olio su tela), una composizione dai caratteri definiti, compressa nella sua trattazione che, comunque, conserva, da un punto di vista cromatico, le tonalità care all’artista. Di un periodo precedente un’altra natura morta che si scompone negli elementi primigeni, La tempesta (1926, olio su tela). 

Max Ernst con Conchiglia (1928, olio su tela) ci trasporta in un mondo fantastico eppure costretto in rigorose geometrie: l’oggetto che esplode quasi fosse una nuvola è contrastato, nel suo espandersi, da una struttura in legno che rimanda a un “naturale” che, pure, nega. I riferimenti al legno e alla natura, li ritroviamo anche in un’altra sua opera esposta, La foresta (1923, olio su tela), con il fascio di legni dai contorni surreali che, nella parte inferiore, sembra trasformarsi in un organo o in canali di scolo sempre disposti su piani simmetrici ed evidenziati dai colori vivaci e ben definiti.

La semplicità che diventa poesia è Joan Miró in Cane che abbaia alla luna (1926, olio su tela); e, su uno sfondo blu di Prussia, nel quale sembrano galleggiare – quasi fosse un liquido primordiale – le figure appena tratteggiate (tipiche del Maestro), in Pittura (Fratellini, 1927, olio e medium acquoso su tela). Accanto, due galli in una trattazione cinetica, quasi un vortice, nel quale sono obbligati ad agire nell’opera di André Masson, Battaglia di galli (1930, olio su tela). Vi è il movimento vitale privato della sua ferocia.

Un mondo di spiriti erranti che galleggiano sopra a quello che potrebbe essere un fondale marino animato da esseri presi in prestito da Bosch è il protagonista di La tempesta (Paesaggio Nero, 1926, olio su tela) del più visionario dei surrealisti, Yves Tanguy. Molto intrigante l’interpretazione del Simbolo agnostico (1932, olio su tela) di Salvdor Dalí, quasi un orologio del tempo. Altrettanto surreale e leggero, il Prestigiatore, (gioco di prestigio, 1927, olio e acquarello su stoffa su cartone) di Paul Klee, ove un mago/genio della lampada si palesa in un’esplosione di luce grazie alla simbologia tipica dell’autore.

In un corridoio gelido, a 17 gradi come ci confermano le custodi presenti in mostra, sono posizionati i due quadri di Piet Mondrian, Composizione con giallo e blu (1932, olio su tela) e Composizione con bianco e rosso (1936, olio su tela), in cui la linearità geometrica associata ai colori fondamentali regala un insieme che, nella sua semplicità, diventa quasi ipnotico.

Una mostra che, nel suo complesso, è una bella cartolina-ricordo di un preciso momento storico e creativo, quello parigino dei primi del ‘900 che, prima, fu ospite del salotto di Gertrude Stein e, poi, si orientò verso il movimento cubista o surrealista. Una mostra nel suo complesso interessante anche se il titolo sembra un po’ esagerato – nel senso che abbraccia solo una parte delle avanguardie del periodo, limitandosi geograficamente e a livello espressivo.

La mostra continua:
Palazzo Blu

Lungarno Gambacorti, 9 – Pisa
fino a domenica 7 aprile 2024
orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle 19.00; il sabato, la domenica e i festivi dalle ore 10.00 alle 20.00

Le Avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art
a cura di Matthew Affron (curatore del Philadelphia Museum of Art)
consulenza scientifica, per la presentazione pisana, di Stefano Zuffi

Nella foto: Juan Gris, Scacchiera, bicchiere e piatto. Olio su pannello, 1917 ©Courtesy of the Philadelphia Museum of Art