L’erosione dell’immortalità sfolgorante

Sirene magnetiche, 170 opere firmate Andy Warhol emergono nelle sale del Vittoriano di Roma, ipnotizzando i sensi.

L’immortalità è un attimo moltiplicato all’infinito, un istante solo (ripetuto), come quello immortalato dalla macchina fotografica nell’arco di una frazione di secondo: imprimendo per sempre la forma sul supporto cartaceo, avviene il miracolo con un click, l’eternità del reale viene al mondo e ne muta la struttura. Il visionario artista americano Andy Warhol (Pittsburg, 1928 – New York 1987) fu il primo a comprendere pienamente una questione così vitale. A distanza così di 90 anni dalla sua nascita, ancora oggi l’arte di Warhol continua a impressionare, ad affascinare, e a sconvolgere il pensiero dei contemporanei, invischiati nei paradossi del regno della cultura post-modernista. Alla luce del fenomeno Warhol, assume nuovi significati e aspetti la riflessione sul rapporto tra media, pubblico e cultura, che quotidianamente si modifica, rigenerandosi. A grande richiesta dunque il Complesso museale del Vittoriano dal 3 ottobre al 3 febbraio si fa cassa di risonanza, e luogo d’incontro prediletto dell’arte warholiana, inaugurando la mostra Andy Warhol. In questo contesto il fruitore ha l’occasione di potersi imbattere nei capolavori dei propri sogni, quegli stessi che hanno plasmato un’intera generazione arrivando fin qui, e che, imperituri, non smettono di contaminare l’immaginario collettivo popolare del presente.

Immersi nell’aria frizzante e visionaria degli anni ’70, il percorso ideato dal curatore Matteo Bellenghi si snoda tra musica, moda e spettacolo, ricostruendo i vari legami tra l’artista e gli amici provenienti dai più svariati campi artistici. La prima sala si rende vetrina del tempio delle icone di un secolo: qui sono conservate la serie senza tempo di Marilyn Monroe e i ritratti di Elvis, Liz Taylor, Mao, Lenin. Interessato alla ritrattistica Warhol crea le sue serigrafie partendo dagli scatti dei volti per poi modellare, tramite la tecnica serigrafica, le fattezze di quest’ultimi; così il fruitore si trova di fronte a visi famosi completamente ritoccati, i colori brillanti e vivaci accecano quasi l’occhio di chi guarda quasi fossero essi stessi i flash delle macchine, e ricontestualizzati acquistano un valore assolutamente nuovo e etereo. Tutto si consuma anche la celebrità, anche l’arte che viene esperita in un battito di ciglia; nasce il modello del vero consumatore. La necessità di reperire sempre maggior materiale per placare la propria voglia divoratrice si esplica in quegli anni con la produzione di massa, e è così che Warhol inizia a lavorare sul concetto di ripetizione, specchio del suo tempo, e ne fa cifra stilistica della sua concezione artistica. Ripetendo infinitamente crea l’immortale consumabile, incessantemente gli adepti di ogni tempo fagocitano la sua immaginazione cristallizzata. Affascinato dagli oggetti di consumo che annullano la distanza tra persone di differente ceto sociale e che sono fruibili da tutti allo stesso prezzo e con le medesime caratteristiche l’artista rendeva l’arte democratica, riproducendo una comune scatoletta di zuppa nella serie Campbell’s Suep nel 1962.

Viene evidenziata così l’idea di arte universale, facilmente fruibile da chiunque. In seguito Warhol continuerà la sua ricerca prendendo a soggetto l’immortale bottiglietta di Coca Cola, emblema del capitalismo e del consumismo. La cultura pop ha sempre influenzato l’artista con le sue ammiccanti fascinazioni, e ciò è rintracciabile prettamente in ambito musicale nel quale risultava particolarmente apprezzato per la realizzazione delle copertine di dischi; come quella ad esempio di Sticky Fingers per i Rolling Stones del 1971 e quella iconica e intramontabile della banana gialla (leggendario il riferimento al contenuto sessuale delle prime versioni dell’album, nelle quali la banana diventava rosa rimuovendo l’adesivo giallo, assumendo una sembianza fallica) per la band dei Velvet Underground & Nico nel maggio del 1967. In mostra anche i ritratti dell’androgina cantante Nico, della favolosa Debby Harry, di Mick Jagger e ancora di John Lennon. L’esposizione prosegue con le opere dedicate al mondo della moda e della pubblicità, una dimensione che Warhol non aveva mai trascurato da quando aveva iniziato a lavorare per riviste come Vogue e Glamour. Scarpe, gioielli, profumi proliferano nella produzione warholiana, così come i ritratti degli stilisti di fama internazionale come quello di Armani. Ciliegina sulla torta sono i disegni dell’artista e le polaroid da lui scattate, come fase preliminare per realizzazione dei suoi lavori, che completano idealmente la sua produzione. Qui si nota il tratto di Andy deciso e conturbante, che si impone come un miraggio scintillante sul folgore candido del foglio. L’ultima sala è dedicata alla polaroid dei personaggi famosi e delle drag queen per la serie di lavori che prendono il nome di Ladies and Gentleman, dedicata al mondo omosessuale newyorkese della metà degli anni ’70. Sono tantissimi i nomi dei personaggi illustri che popolano le fotografie di Andy tra di essi si ricorda: Man Ray, la principessa Carolina di Monaco, Stevie Wonder, Roy Lichtenstein, Muhammad Alì, Valentino, Versace, Armani e tanti altri.

Il culto della fama ossessionò Warhol per la tutta la sua vita, per tale motivo si legò a personaggi in vista e artisti famosi, ma la realtà era un’altra: la vera missione di Andy era ricercare l’immortalità. “In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti”, la costatazione dell’artista ha del miracoloso, profetizzando l’avvento dei social e delle loro conseguenze, l’artista andava oltre la limitata concezione di vita umana e si apprestava ad entrare nella gloria dell’istante immutabile, eterno. E se da un lato Warhol scolpisce la sua immagine nell’Olimpo della fama dall’altra confessa: “Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla in Persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza. Poi mi sono reso conto che la stessa esistenza non è nulla e mi sono sentito meglio”; con queste parole che instillano la meditazione sulla verità della vita stessa, si conclude il percorso espositivo di uno dei geni artistici più importanti del XX secolo, che ha inevitabilmente riformato le menti e il modo di pensare popolare, concretizzando la fantasia di una cultura inebriata dall’aroma della fede nell’eternità brillante.

La mostra continua:
Complesso museale del Vittoriano
Via San Pietro in Carcere – Roma
dal 3 ottobre al 3 febbraio
dal lunedì al giovedì 9.30-19.30; venerdì e sabato 9.30-22.00; domenica 9.30-20.30

Andy Warhol
a cura di Matteo Bellenghi