Tecnogenesi ed estetica del web

Il neologismo posthumanism (“postumanesimo”) è tra i protagonisti del dibattito accademico contemporaneo. E non potrebbe essere altrimenti nel contesto della società postmoderna, dove il tempo diventa subordinato, funzionale e costitutivo di una esperienza sociale che presenta, in ogni sua forma, un’alternativa digitale.

Con l’introduzione dei sistemi tecnici softwarized, non è sbagliato sostenere che viviamo in una società dell’informazione. Sebbene esistano numerose definizioni e discussioni, oggi ci rendiamo conto che quegli stessi algoritmi digitali che ci circondano mediano la nostra vita, creando e presentando, su un piano parallelo, un mondo che talvolta appare più confortevole, più veloce, conveniente e sicuro.

Sia il posthumanism che il transhumanism iniziano a definirsi, nelle modalità discusse, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Il dato cronologico appare coerente con il contenuto stesso: la complessità del periodo è ascrivibile, infatti, ad una nuova consapevolezza, che si può riscontrare in ogni forma artistica, dal fashion al cinema, e che comprende l’universo della popular culture.
Nella teorizzazione posthuman, l’uomo è in grado di superare la propria dimensione («post») in quanto soggetto mutevole subordinato alla tecnogenesi: la co-evoluzione degli esseri umani e dei media.

Se consideriamo i media come estensione del corpo umano, virtualmente la tecnogenesi può essere vista come un processo iniziato con le prime scoperte della specie; tuttavia, l’avvento delle tecnologie intelligenti ne ha modificato significativamente le potenzialità. L’invenzione di ogni medium ha conseguenze sulla società, indipendentemente dall’utilizzo individuale dello strumento (come sosteneva Marshall McLuhan, si tratta della “sindrome dello specchietto retrovisore”). I cambiamenti includono non solo trasformazioni neurologiche nel cervello umano, ma anche le stesse dinamiche di interdipendenza tra sistemi umani complessi e sistemi tecnici complessi.

A partire dai suoi studi su quei tre processi che dagli anni Sessanta hanno modificato e dato forma alla società postmoderna che conosciamo – la rivoluzione dell’informazione tecnologica, la crisi economica del capitalismo e dello statalismo, la nascita di nuovi movimenti sociali come l’ambientalismo e il femminismo –, Manuel Castells arriva ad una conclusione: “dominant functions and processes in the information age are increasingly organized around Networks“.

Le reti sociali sono infatti la nuova morfologia delle nostre società, con conseguenze importanti sulle operazioni e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere, cultura. Internet non è altro che la formula più indicativa di una trasformazione più ampia, che appartiene ad ogni settore della nostra realtà e che vede la società come un insieme di nodi interconnessi.

Le comunità in rete sono costituite da un gruppo di persone collegate tra loro sotto forma di discussioni, giochi, forum, o qualche altra forma di connessione a due o più vie. Le persone investono tempo ed energia in queste comunità, e queste si evolvono in un complesso aggregato di relazioni tra persone mediate da una tecnologia e da un contesto: diventa una sorta di luogo o ambiente.
Il modello ridefinisce non solo la comunità, ma anche le relazioni sociali all’interno di essa: la nuova società non si basa più sul legame territoriale e la prossimità fisica, ma sulle affinità, in una esperienza relazionale unica e personale di interessi, valori, progetti individuali. Internet offre una possibilità che le forme di comunicazione precedenti non avrebbero mai potuto far propria: un modo per superare le barriere della formazione di legami strettamente locali.

Le comunità sono influenzate dalla tecnologia di base, ma crescono ben oltre la tecnologia stessa: i nuovi media, nel processo di tecnogenesi che è oggi inevitabilmente costante, sono una base genetica su cui un nuovo organismo può crescere, ricevendo input dal suo ambiente attraverso i partecipanti di una comunità. Pertanto, se vero è che ogni esperienza sociale può avere, seppur con differenze formali, un equivalente nel cyberspazio, la web society ha acquisito la capacità di manifestare nuovi prodotti estetici, artistici e idealistici che possono non avere un corrispondente nel “mondo reale”.

Il punto di partenza nel processo di formazione di una specifica estetica propria soltanto del cyberspazio è, tuttavia, necessariamente un qualcosa che ha comprovata corrispondenza nel mondo esterno alla rete: infatti, non c’è, da parte delle comunità, la volontà di generare un nuovo prodotto, ma esso inevitabilmente viene generato dalle interazioni tra i membri (i nodi interconnessi) della comunità. Nella trasposizione da realtà fisica a virtuale, il prodotto e l’intenzionalità iniziali non possono che essere modificati, perché a modificarsi è il medium stesso attraverso cui vengono fruiti.

Ne consegue, quindi, che l’estetica del web, anche se nella trasposizione formale rimane fedeli alla propria immagine pre-cybernetic, possano essere definite posthuman, perché è il nuovo medium ad essere un’estensione della potenzialità umana (ovvero: ad andare oltre la dimensione precedente) e a modificarla nel momento stesso in cui avviene il processo di trasposizione sul web – che a sua volte espone l’estetica iniziale ad ulteriori modificazioni, stavolta effettuate dagli utenti delle comunità, che ne fruiscono in maniera attiva (sempre per fare riferimento a McLuhan, in quest’ottica troviamo la differenza tra media caldi e media freddi), rendendo ogni informazione, dato e prodotto soggetti a mutamento arbitrario.