Ritratti d’autore

Percorrerà l’Italia, dall’Istituto degli Innocenti a Firenze, al Museo Martinitt e Stelline di Milano, dalla Real Casa dell’Annunziata di e all’Istituto di Santa Maria della Pietà di Venezia, la mostra Storie di Bambini. Una mostra che è poi diventata anche un libro, un disco e infine uno spettacolo teatrale rappresentato per la prima volta presso la Ludoteca della Real Casa dell’Annunziata a Napoli. La sua autrice, Letizia Galli, ne parla con Persinsala.

Ha disegnato e composto fumetti, libri e molto altro sui bambini e per i bambini, sia in Italia sia all’estero. Leggendo la sua biografia si ha l’impressione che questa passione nasconda in lei la ragazzina che si perdeva per strada, quando tornava da scuola, per disegnare e dipingere i paesaggi e le opere d’arte toscane. È così?
Letizia Galli: «Assolutamente. Ritengo che questo mio lato infantile non mi diminuisca, anzi, rimanere bambini è un pregio, una qualità che pochi considerano. È grazie a questo aspetto infantile che conserviamo grossa curiosità, acutezza nell’osservazione e l’innocenza, che è esso stesso un bene molto prezioso».

Fra i personaggi spicca Agata Smeralda, che è anche la protagonista del libro e della canzone da lei scritta. C’è qualcosa di Agata in Letizia Galli, e se sì, che cosa?
LG: «Innanzitutto tengo a precisare che la mostra non è costituita esclusivamente da personaggi che hanno vissuto in orfanotrofio, ma anche da soggetti di cui spesso ho scritto anche le storie durante tutta la mia carriera. In esposizione non ci sono neanche tutti i miei libri e non ho pubblicato solo libri sui bambini. Quindi, l’unico personaggio, tra i dodici presentati negli espositori, che abbia un riferimento agli orfanotrofi, è proprio Agata Smeralda. Agata è la protagonista di Storie di Bambini perché la mostra si svolge in una sede storica di accoglienza di minori. Tutti gli altri personaggi dei miei disegni in esposizione sono bambini che se la sono dovuta cavare da soli oppure da soli sono diventati geni, persone di levatura enorme, come Leonardo e Michelangelo. Ecco, probabilmente è questo l’aspetto più evidente che mi avvicina ad Agata e agli altri miei personaggi: tentare di cavarsela da soli».

La mostra sarà itinerante e allestita in cinque luoghi-simbolo dell’infanzia abbandonata in altrettante città ricchi di patrimonio artistico. Secondo lei tutto questo ci rivela qualcosa sull’attitudine della società verso i bambini abbandonati, nelle epoche a noi precedenti?
LG: «Certamente ci rivela un’attitudine alla cura, piuttosto singolare e – direi – propria in vasta scala a tutta l’Italia, che è ricca, oltre che di istituti di accoglienza per minori, anche di conservatori. Il loro nome suggerisce, del resto, il conservare, quindi curarsi delle cose lasciate indietro, che sarebbero appunto i bambini abbandonati. Alla base c’è un atteggiamento di rifiuto della morte da parte di queste creature meno fortunate e un desiderio di recuperarle con l’educazione, con l’insegnamento dei mestieri e, nel caso più specifico dei conservatori, con le arti. Ed è così che sono nati molti musicisti».

Ritiene che raccontare e dipingere della sorte di migliaia e migliaia di bambini che sono stati abbandonati in passato possa servire come memoria storica o come monito nella nostra società odierna? O forse entrambe le cose?
LG: «Penso che sia necessario mantenere l’attenzione sul problema, perché i bambini meno fortunati sono in aumento. L’abbandono è ormai una pratica molto diffusa, aggravata oggi anche dalle guerre, che rendono i bambini orfani e su cui riceviamo notizie spaventose. Occorre instaurare una politica di accoglienza ben precisa, che, mi sembra, non sia stata ancora messa a punto».

Non è stata ancora scelta la sede della mostra a Roma. Ha già qualche idea in proposito e ce la vuole rivelare in anteprima?
LG: «La sede romana è stata programmata come ultima, tra tre anni. Ora siamo concentrati sulla sede successiva: Firenze».