Quando a emigrare eravamo noi

centro-culturale-milanoLe foto che denunciarono le condizioni di vita degli europei emigrati in America, nei primi anni del secolo scorso e costrinsero l’amministrazione statale a varare importanti riforme sociali.

Lavorare in fabbrica alla fine del 1800 doveva essere un inferno: dodici ore ogni giorno, pause ridotte al minimo, condizioni di sicurezza inesistenti e paghe da fame, ma l’offerta di manodopera era alta e l’opinione pubblica cominciava appena allora ad acquisire una sensibilità ai temi sociali. Lewis, dal carattere mite e dallo sguardo dolce, aveva perso da poco suo padre, forse proprio in un incidente di lavoro, ma voleva caparbiamente proseguire a studiare sociologia – disciplina che in quegli anni si affermava, grazie all’intensificarsi dei processi d’industrializzazione e di urbanizzazione – così andò anche lui a lavorare come operaio per mantenersi agli studi.
Forse il giovane Lewis conosceva gli studi di Spencer, americano come lui, più difficilmente quelli di Durkheim, La divisione del lavoro sociale, scritto in francese nel 1893 e l’importante analisi di Tonnies, Comunità e società, in tedesco del 1887, ma era molto interessato a questo tipo di approccio i cui paradigmi riteneva utili per comprendere le complessità di una società in transizione.
L’esperienza come operaio gli servì, tempo dopo, nei primi anni del secolo breve, quando, nella veste di professore di sociologia, adottò come strumento d’indagine sociale la tecnica fotografica e riuscì a entrare subito in empatia con i soggetti fotografati, spesso ritratti in condizioni per niente invidiabili. Presto capì che la fotografia poteva non solo diventare un potente strumento didattico per illustrare ai suoi allievi la realtà sociale, ma comprese che le immagini fotografiche erano una straordinaria leva di cambiamento della coscienza pubblica, capaci di accelerare l’adozione di riforme sociali per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Provenienti dalla collezione privata di Walter Rosenblum, suo allievo fotografo e amico, le foto di Hine raccontano una storia collettiva, un’epopea, partendo, idealmente, da Ellis Island, un approdo mitico dei tanti Ulisse sbarcati in America, nei primi anni del ‘900. È li che il fotografo-sociologo si reca per accogliere nel nuovo mondo, gli emigrati europei (in quel momento, prevalentemente italiani): le valigie legate con lo spago, lo scialle sulle spalle delle donne, i fazzoletti sul capo. Ma Hine non si accontenta e prosegue la sua indagine su larga scala: New York, Boston, Pittsburgh, Washington, Nashville e realizza un ricco reportage sociale, andando a scovare i nuovi coloni, nei quartieri dove si stabiliscono, nelle loro misere e anguste abitazioni. Nuclei familiari affollati di bocche da sfamare, preziosa manodopera per il lavoro in fabbrica, a domicilio, nei campi di cotone e sulla strada. Resta poco tempo per giocare, ma anche in questi rari casi, Hine è presente con la sua macchina fotografica di grande formato.
Gli occhi che ha di fronte hanno il suo stesso sguardo, smarrito, stupito, a volte sospettoso e umiliato.
Volti anneriti dal carbone estratto nelle miniere della Pennsylvania e del West Virginia.
Piedi nudi che calpestano il selciato, vestiti inadeguati a ripararsi dal clima freddo e dalla neve, di cui, forse, fanno per la prima volta l’esperienza.
Mani di lustrascarpe e di strilloni, di facchini e di operai; piccole mani che allo sportello dell’amministrazione ritirano la paga settimanale.
Anni dopo, seguirà altri emigrati, salendo sui grattacieli in costruzione, in bilico sulle traversine, come gli operai che ritrae, intenti a realizzare il futuro skyline della metropoli newyorkese.
Quando andrete a vedere questa mostra, imperdibile, il sentimento che prevarrà sarà l’emozione: di trovarsi di fronte a sessanta stampe vintage, realizzate dallo stesso Lewis Hine; di vedere immagini dall’immediata efficacia comunicativa, ricchi di significati e valori universali; di scorgere, nei volti dei soggetti, visi noti, occhi amici, nostalgia riflessa di una comune appartenenza a una terra, abbandonata da alcuni in cerca di maggior fortuna.

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La mostra continua:
CMC – Centro Culturale di Milano
via Zebedia, 2 – Milano
orari: lunedì-venerdì 10.00-13.00 e 15.00-18.30; sabato e domenica 16.00-20.00
ingresso gratuito
fino a domenica 2 febbraio 2014
www.centroculturaledimilano.it

Lewis Hine
Costruire una nazione, geografia umana e ideale
a cura di Enrica Viganò
ideata da Camillo Fornasieri
programmata da Centro Culturale di Milano e Admira
60 vintage print provenienti dalla Collezione Rosenblum

Catalogo:
Quaderni del CMC n° 8  
testi di Mario Calabresi e Nicolò Leotta
edizioni Admira
20,00 Euro

Eventi collaterali:
Palazzo dell’Informazione – Sala Sironi
piazza Cavour 2 – Milano
mercoledì 27 novembre, ore 21.00
proiezione del film
L’America di Lewis Hine
regia Nina Rosenblum
soggetto e sceneggiatura Daniel Allentuck
voci narranti Jason Robards e Maureen Stapleton
Dedalus Production, Inc.
film in versione originale con sottotitoli in italiano
introduce Manuela Fugenzi