L’inesauribile creazione nella fucina delle arti

Diversità, progettualità, collaborazione sono i protagonisti dell’esposizione inaugurata al Contemporary Cluster, che celebra il centenario della nascita della famosa scuola di architettura, arte e design ideata da Walter Gropius nel 1919.

In una società dove l’imperante uso dei social e la digitalizzazione incessante costringono il singolo a vincere giorno per giorno una continua battaglia per la salvezza della propria esistenza, la prevaricazione, l’arrivismo e l’intolleranza divengono la legge di una realtà in decomposizione. La ricerca della felicità dell’individuo diviene folle presupposto giustificante di misfatti e di angherie perpetrate in nome di un’utopica missione portatrice di prosperità. La brutalità invade il campo d’azione instaurando il suo governo imperante, e il singolo viene gettato nell’arena della sfida suprema inaugurando il massacro. In un contesto tanto catastrofico, sembrerebbe impossibile trovare i pregi di un’autentica umanità non corrotta, ma sorprendentemente nella sale della Contemporary Cluster, presso Palazzo Cavallerini Lazzaroni in Via Barbieri 7, si può riscoprire l’antitesi del contrasto: collaborazione e l’interdisciplinarità si uniscono palesando il lato migliore della simbiosi. L’esposizione Bauhaus Club dedicata al centenario della nascita dell’omonima scuola d’avanguardia artistica, nata nel 1919 a Weimar in Germania (che vedrà l’apertura di altre due sedi una nel 1925 a Dessau e l’altra nel 1932 a Berlino), schiude le porte illuminando le innovative opere di ben nove progettualità contemporanee diverse.

Ripercorrendo le varie ricerche geometriche intraprese all’interno della scuola degli anni ’20, gli artisti sintetizzano la loro singolare personalità e l’essenza della propria concezione artistica miscelandola con quella degli interpreti del Bauhaus. L’artista statunitense Brad Howe, ad esempio, assimila le lezioni di Kandinskij, di Gropius e di Farkas Molnàr, realizzando sculture geometriche dalle forme ricercate e sofisticate come Confession of disappearance, opera che respira vivamente la vivacità coloristica dall’aria kandinskijana. Legato all’uso del colore è anche il pittore Marco Casentini che all’interno dell’area a egli predisposta realizza un colorato wall drawing riproponendo i risultati della sua ricerca artistica evidenti nella tela Streetlights dove la realtà visibile viene scomposta, geometrizzata e filtrata attraverso l’uso del modulo quadrato, che ricorda i lavori di Josef Albers. Come fanno i pixel, l’immagine del paesaggio viene ricomposta, svincolata dalla figurazione e dall’apparenza del reale; quadrati e rettangoli variopinti contaminano anche gli oggetti del mondo della quotidianità come t-shirt e moto evidenziando il legame sottile che unisce realtà e immaginazione. È però la Lighting sculpture dell’italiano Carlo Bernardini ha incantare gli astanti nel buio notturno dell’ambiente all’ultimo piano dell’edificio. Geometria e luce condividono il protagonismo all’interno dello spazio che essi creano; le fibre ottiche luminose costruiscono l’architettura aleatoria, che sembra levitare nel vuoto donando un senso di effimero e di leggerezza semplicemente estatico. Il riferimento alla light painting di Laszlo Moholy-Nagy è fondamentale nell’arte di Bernardini che con le sue sculture luminose si confronta in dialogo aperto con il predecessore. In campo fotografico si spartiscono la superficie Sergio Picciaredda e Stefano Barattini; il primo romano, interessato ai paesaggi industriali, immortala la zona periferica smascherando la sua intrinseca anima, realizzando con scrupolosità prima la scena e poi fermandola con lo sguardo; il secondo milanese affascinato dai luoghi in abbandono, si dedicata invece a immortalare il degrado e la consunzione di aree logorate dal tempo e trascurate dall’uomo, tra di esso rilevante importanza è riservata alle fotografie dell’edificio sede del Bauhaus di Dessau. A chiudere la mostra non manca la parentesi musicale affrontata sia dal duo Mohabitat in collaborazione con l’ingegnere del suono Leonardo Brazzo, sia da Paolo Maria Monti. Entrambi focalizzati in maniera diversa sui suoni elettronici condividono lo spazio sonoro con le opere L’onda e Paolo Monti 37788, Fronte d’onda – Invisible Cloak, 2004-2018, elettrizzando l’aria di particelle vibranti.

Collaborare è più che operare in sintonia con altri individui ed è più che arrendersi alle pretese creatrici di altre persone. Opposto della debolezza esprime tutta la sua forza plasmando le forme fantastiche dell’inimmaginabile. L’interdisciplinarità diviene vitale nel mondo materialistico e tendente sempre più all’individualismo forzato. Aiutare, dialogare e molte volte discutere apertamente: esse curano le ferite della realtà, e inoltre erigono le salde fondamenta del futuro, un avvenire prospero e fiorente in cui offrendo le proprie mani al prossimo la gioia inonderà l’atmosfera di un febbricitante e reale benessere. Il destino traspare rincuorato dalle possibilità forgiate dalla cooperazione; tutto diviene possibile nella società salvata dalla sua stessa cecità. In tale contesto esempi di collaborazione e interdisciplinarità, come quello promosso dal Contemporary Cluster, possono solo essere lodati e sostenuti, poiché in grado di insegnare i principi indispensabili per contribuire all’avvento di una realtà auspicata.

La mostra continua:
Contemporary Cluster
sede Palazzo Cavallerini Lazzaroni
Via Barbieri, 7 – Roma
dal 20 ottobre al 21 novembre 2018

Bauhaus Club
a cura di Giacomo Guidi