Il maestro della luce e la deflagrazione della natura

Prorogata fino al prossimo giugno, la mostra dedicata a Monet allestita presso l’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano di Roma dimostra il ruolo fondamentale del pittore francese per la pittura astrattista del Novecento.

Claude Monet, nella seconda metà del XIX secolo, segnò l’arte europea contribuendo notevolmente all’avvento del modernismo in pittura; figura di transito, perché ancorata fortemente all’attrazione nei confronti del paesaggio e della natura, Monet seppe direzionare la sua ricerca espressiva verso un’attenzione radicale nei confronti del significante pittorico e della forma, fino al punto di annunciare, negli ultimi anni della sua opera, quelle trasformazioni astrattiste che avrebbero caratterizzato le avanguardie del XX secolo. La mostra in corso presso il Complesso del Vittoriano dedicata all’artista francese, che su grande richiesta è stata prorogata fino a giugno, accoglie al suo interno 60 opere provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, donate dal figlio Michel e conservate in quella che fu l’ultima bucolica dimora dell’artista a Giverny.

Oltre a offrire una ricostruzione indicativa ed esauriente della carriera del pittore, il percorso della mostra Monet. Capolavori del Musée Marmottan Monet, Parigi affascina il visitatore soprattutto per come racconta la sua tenace modernità; se lo stile resta fortemente figurativo nelle caricature degli anni ’50 e nei ritratti di famiglia, già negli scorci urbani e naturali di Londra, Parigi e Pourville, tra ponti, castelli e boschi, la ricerca di Monet dimostra una piena coscienza teorica in grado di garantire alla pittura una specificità propria dinanzi a quel miracolo chimico-meccanico che fu proprio nell’Ottocento l’invenzione della fotografia. Se a quest’ultima fu riservato il compito di riprodurre il mondo, allora la pittura doveva indagare nuove soluzioni e inoltrarsi per nuove strade; contrariamente all’espressionismo, l’impressionismo parigino puntò tutto sulla vanificazione del soggetto in quanto ente psicologicamente ed esistenzialmente collocato: la pittura doveva riflettere le stimolazioni sensoriali e retiniche che la luce imprimeva all’occhio, schizzando sugli specchi d’acqua, annebbiandosi nella polvere dell’ambiente, disperdendosi nella linea dell’orizzonte.

Opere come Il treno nella neve. La locomotiva del 1875 e Riflessi sul Tamigi del 1905 attestano proprio questo processo di adesione totale alla luce. Ciò che più importa è che tale approccio non è che un momento di una ricerca ben più rivoluzionaria: Monet, come già Turner prima di lui, porterà al punto limite questa sua ricerca confondendo i piani della visione coi riflessi dell’acqua, posizionandosi su una pittura di atmosfere dove i colori si amalgamano in un flusso indistinto e gli oggetti non sono più ben riconoscibili.
Il cielo, l’orizzonte e il paesaggio arrivano a fare tutt’uno, ed è incredibile notare come molte opere della seconda fase creativa dell’artista possano richiamare alcuni dei grandi maestri della contemporaneità: straordinario uno dei dipinti della serie del Ponte di Charing Cross che assomiglia a un Vedova o ancor più a una tela di Scanavino, dove diventa evidente come l’astrattismo venga raggiunto attraverso una totale adesione ai precetti impressionisti. Questo elemento risalta fortemente nella trilogia del roseto: qui Monet evidenzia i gradi di astrazione che vengono raggiunti partendo da una rappresentazione naturalistica per approdare a un irriconoscibile ed energico insieme di linee, che è quanto avrebbe fatto anche il giovane Mondrian con la sua serie degli alberi attraverso la quale sarebbe approdato nell’ambito dell’astrazione geometrica.

Monet non arriva a tanto, perché resta fedele alla natura e alla luce: il suo “astrattismo” è infuso di vitalità e non tradisce mai la pittura en plein air; quando abbandona la paesaggistica trova negli elementi del suo giardino di Giverny le ispirazioni pittoriche, perché è nella flora naturale che rintraccia il trampolino per la sua forma di astrazione. Un’astrazione che non si scollega dal mondo, ma che cerca di rendere omaggio alle meraviglie della natura: il ciclo delle Ninfee, i fiori, le piante e soprattutto i salici, talmente eccessivi da annunciare l’espressionismo astratto americano e in particolare l’action painting di Pollock. Qui Monet, attraverso la pittura, schiude l’oggetto naturale e piuttosto che riprodurlo (per quello c’era ormai la fotografia) decide di mostrarne la potenza contenuta al suo interno in un’esplosione, dove i margini della tela spesso restano bianchi quasi a evidenziare come si tratti di deflagrazioni istantanee impresse su un quadro, di cui lui resta testimone quasi involontario.

La mostra continua:
Complesso del Vittoriano – Ala Brasini
Via di San Pietro in Carcere, Roma

Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet, Parigi
fino al 3 giugno 2018
da lunedì a giovedì 9.30 – 19.30, venerdì e sabato 9.30 – 22.00, domenica 9.30 – 20.30