Dalla follia all’arte, dall’arte alla follia

Il Margutta riapre i battenti facendo esordire la nuova stagione con una mostra e un progetto particolarmente articolati dedicati al tema della follia.

Non ci si stancherà mai di ribadire il legame indissolubile che lega la follia alla genialità, alla creatività e perciò stesso all’arte; oltre ai riferimenti ovvi che vengono fatti quando si affronta tale argomento, relativi alle malattie mentali e alla schizofrenia di alcuni maestri dell’arte, in realtà questo legame è ancora più strutturale e fondativo. Di fatti, se l’arte è la pratica attraverso cui l’uomo interroga il mondo mettendolo in questione, esprimendo la propria interiorità per renderla tangibile e materiale nello spazio, allora l’arte per essere vera arte deve anche essere sempre un po’ folle; folle perché deve affrontare gli schemi abitudinali per sovvertirli, folle perché deve fare emergere il nuovo in ciò che meramente esiste, folle perché ha la necessità di affrontare in ogni istante una società fondata sull’utilità pratica delle cose.

Occuparsi di arte e dedicare ad essa anima, corpo ed energie (che significa anche lavoro e investimenti economici) significa perciò essere folli, ed è questa follia a essere invocata da Tina Vannini, gestore di uno dei locali più preziosi e significativi per l’arte romana, ovvero Il Margutta; aperto nel 1979 come il primo ristorante vegetariano della capitale, e divenuto nel corso degli anni un’istituzione e un punto di riferimento per gli amanti della cultura e per le attività frenetiche di questa storica strada di Roma, Il Margutta si presenta in occasione dell’inaugurazione di questa nuova stagione con un nuovo look. Non solo, ma proprio per sottolineare il valore propulsivo e rivoluzionario della follia creativa, non è un caso che la prima mostra del nuovo Margutta abbia come titolo Normality: si tratta ovviamente di una provocazione, perché è evidente come lo stesso concetto di normalità vada ripensato a partire da una ricomprensione psicologica e filosofica della follia.

Le sale del ristorante sono allestite con opere appartenenti a tre diverse sezioni, che in maniera diversa si inseriscono all’interno del contesto del tema in questione; la prima è dedicata a Valeria Catania, artista di origini leccesi che nelle sue produzioni privilegia l’utilizzo di materiali come la plastica, l’alluminio e il plexiglass, ricollegandosi a una tradizione ben radicata nelle neoavanguardie del dopoguerra. In Catania, i materiali sono al servizio di un’arte elegante e raffinata, che se rasenta il decorativismo e l’ornamentale lo fa però con animo sincero, quasi spontaneo. Infatti, le figure che si ripetono quasi ossessivamente sono volti femminili, stampi identici e di diversa grandezza che vanno a definire delle creature biomorfiche; come se la follia qui diventasse coazione a ripetere che tenta di esaurirsi nella dolcezza dei volti, che si adagiano uno sull’altro.

L’altra personale è invece di Guido Pecci, dove la follia esplode letteralmente nei colori acidi e nel caos di tinture che si confondono con figure appena abbozzate: la follia in Pecci sembra avere una connotazione quasi polemica, perché i protagonisti delle sue opere sono icone dell’immaginario popolare televisivo, come i cartoni animati (Simpson e Winnie the Pooh). La sua arte è una trasfigurazione artistica del trionfo mediatico di questi personaggi, che vengono stravolti e sformati dalla furia dell’arte; oppure si tratta del suo opposto, ovvero di una celebrazione delirante di questo universo, sulla scia della poetica della Pop Art e del Neo Dada. Ma Pecci non si limita a celebrare perché il suo atto di sovversione si registra nel nervosismo dei suoi agglomerati di forme caotiche, nel suo inveire sui materiali, quasi come se la sua follia volesse ribattere alla follia del mondo globalizzato. Una parte dell’allestimento è invece dedicata all’Art Therapy, pratica molto diffusa all’interno dei percorsi di cura e di assistenza rivolti ai malati mentali, interessante per comprendere ancora meglio il legame di arte e follia.

D’altronde, Normality rappresenta un progetto ben più ampio, che comprende anche altra modalità espressive oltre alle arti visive: il cinema, con la presentazione di un cortometraggio venerdì 25 settembre che ha per titolo proprio Normality, nonché performance teatrali che affrontano da diverse angolazioni i temi del disordine e appunto della follia. Iniziare un nuovo anno di eventi e attività culturali, e una nuova stagione artistica, facendo riferimento alla follia non è già di per sé, tautologicamente, un atto folle e per niente banale?

La mostra continua:
Normality, la mostra di Valeria Catania e Guido Pecci
a cura di Giorgia Calò e Anita Valentina Fiorino.

Il Margutta – RistorArte
Via Margutta 118 – Roma
fino a fine Novembre
orari: dalle 10.30 alle 24.00
ingresso libero