Le mille facce di Pep Marchegiani e Alessio Sarra

Nasce come designer di moda per l’azienda abruzzese Sixty, ma in pochi anni Pep Marchegiani diventa uno dei maggiori esponenti dell’arte pop internazionale ritagliandosi uno spazio di rilievo nella giungla dell’arte contemporanea. Ha riportato in auge la pop art utilizzandone l’immediato potere comunicativo in forte chiave sarcastica, nella convinzione che il potere catartico dell’arte vada sfruttato con ogni mezzo. Alessio Sarra, curatore e socio dell’artista, Francesco Coscioni, titolare della casa Neo Edizioni, piccola e coraggiosa casa editrice abruzzese, e Pep Marchegiani in persona ci raccontano come, insieme, stanno dando all’Abruzzo una sferzata di energia positiva.

Grazie al contributo dell’imprenditore Bruno Peca, lei e Pep Marchegiani avete dato vita a uno spazio culturale che rivitalizza un piccolo borgo in collina, il BR1 Cultural Space a Montesilvano Colle: come è nata questa idea?
Alessio Sarra
: «L’esperienza nasce nel 2011, quando io e Pep apriamo una concept gallery a Pescara convinti che mancasse in città uno spazio culturale di respiro internazionale. Subito dopo, Bruno Peca ci mostra la bellissima palazzina settecentesca da lui appena restaurata a Montesilvano Colle, e ce ne innamoriamo all’istante. In meno di un mese chiudiamo la galleria pescarese e inauguriamo, con una fortissima risposta di pubblico, il BR1 Cultural Space a Montesilvano Colle con la personale di Pep Vatigun. Il BR1 è uno spazio culturale in un borgo d’arte, ma anche una residenza per artisti: questo è il nostro ambizioso progetto, la nostra missione stimolante. Oggi abbiamo all’attivo tantissimi eventi con migliaia di visitatori; la prima camera è già pronta, in questo mese ultimeremo le altre».

Uno dei presupposti dell’arte pop è l’idea di comunicare, con un linguaggio semplice e immediato, contenuti culturali alle masse attraverso la veicolazione di messaggi riprodotti in serie su supporti di varia natura: dalla tela ai manifesti pubblicitari, ai collage, ai video. Insieme a Pep, avete creato un marchio “multimediale” – 232 Made in Art – ma non solo: ci racconta qual è la vostra idea di impresa?
A. S.
: «La nostra “impresa” parte nel 2010 con una stretta di mano, budget zero e la convinzione di avere un progetto deflagrante. Iniziamo a comunicare l’arte di Pep attraverso i social network con un successo incredibile. Questo ci porta a interloquire con gli addetti al settore arte, che in un primo momento snobbano quello che oggi è la grossa forza che riconoscono loro stessi all’artista: la comunicazione artistica di massa. Creiamo un brand (232 Made in Art) legato alla sua arte e iniziamo un progetto di licensing out, cioè concediamo alle aziende la licenza di utilizzo del nostro marchio in cambio della produzione e distribuzione dei prodotti. 232 Made in Art nasce dall’esigenza dell’artista di comunicare attraverso prodotti, siano essi jeans, borse da donna, o libri. Tutti prodotti che fungono da multipli d’arte, così come i clienti finali rappresentano dei micro-collezionisti e delle opere in movimento. Parallelamente, continuiamo a sviluppare progetti artistici che stanno portando Pep Marchegiani a scardinare il sistema stereotipato del mercato artistico».

Cosa pensa, signor Marchegiani, del rapporto tra arte e commercio? Si sente maggiormente un artista o un imprenditore? O entrambe le figure?
Pep Marchegiani
: «Sfaterei il mito che arte e commercio non vadano a braccetto. L’arte è commercio, e il profitto proveniente dalle opere e dalle varie applicazioni dell’arte serve alla ricerca e alla formazione dell’artista stesso, oltre che al pagamento delle bollette a fine mese. Mi sento parte di un meccanismo creativo che ha lo scopo di produrre sia opere uniche sia multipli artistici destinati all’industria per la divulgazione di prodotti. Coloro che pretendono di ridurre l’arte a solo uso e consumo di pochissimi eletti, dovrebbero entrare nel Ventunesimo secolo, il secolo della comunicazione di massa. Per la prima volta nella storia, l’artista e i creativi hanno l’opportunità di auto-promuoversi in maniera del tutto meritocratica, annullando di fatto il potere dei soliti galleristi, dei soliti critici, delle solite fiere».

Può crearsi, secondo lei, un circolo virtuoso che consenta, attraverso l’arte, di fare business mantenendo una certa indipendenza dal mercato? Oppure, in ogni caso, l’arte è mercificazione, proposizione e vendita di un messaggio e di un oggetto che lo veicola, e perciò soggetta a una certa dose di conformismo?
P. M.
: «Ribadisco quanto sopra e aggiungo che il mercato dell’arte è globale, i social network oggi permettono di bypassare le solite strutture istituzionali per le quali l’artista deve necessariamente essere povero, depresso e sregolato».

Francesco Coscioni, lei e il suo socio Angelantonio Biasella, avete dato vita a una casa editrice in un piccolo paese abruzzese, Castel di Sangro in provincia dell’Aquila. Avete già quindici titoli pubblicati e scegliete con grande eclettismo e originalità i testi da pubblicare: perché un libro su Pep Marchegiani?
Francesco Coscioni
: «Perché è un libro che ancora non esisteva, non si era ancora mai visto niente del genere. Se guardiamo indietro possiamo pensare a progetti tipo Frigidaire o Il Male, ma Circo Itaglia è un libro e non una rivista, ed è figlio del Ventunesimo secolo, con una potenza tale da permettergli di rimanere attuale anche negli anni a venire. Circo Itaglia è un documento inequivocabile, è un libro sulla nostra storia recente, immediato: una sorta di racconto stenografato per immagini. In breve, quando Pep Marchegiani ce l’ha fatto vedere abbiamo sentito che era un libro necessario. Pep riesce a parlare della crisi, della drammaticità di questi anni, dell’assurdità dei nostri amministratori divertendo: ecco perché quel riso ha in sé qualcosa che può scuotere fortemente e che va divulgato».

Che tipo di libro è Circo Itaglia: di tavole, un catalogo, o un pamphlet a colori?
F. C.
: «L’ibrido che mancava, è il crossover che spiazza nella sua semplicità, è un suv sparato a 280 km orari contro 20 anni di politica italiana, contro le fondamenta della Seconda Repubblica, contro la nostra coscienza di italiani. È sicuramente un libro di tavole che ha poco a che vedere con le vignette satiriche alle quali siamo abituati, tipo Forattini o Vauro (solo per citare dei nomi); sono tavole coloratissime che hanno l’immediatezza e il sarcasmo proprio della satira, ma altresì lo spessore, l’impatto estetico, l’universalità propria dell’arte. Per definirlo si deve leggere – e anche attentamente. Come le migliori espressioni artistiche, cattura dal primo sguardo, ma andando a rileggerlo si coglie la stratificazione che porta in sé, e non solo di denuncia o di sberleffo. Si capisce che il meccanismo che anima ciascuna tavola nella sua costruzione visiva e testuale è un meccanismo che scimmiotta lo strapotere del marketing e della pubblicità. Utilizza gli stessi inganni di questa classe politica: avete mai fatto caso che i politici di oggi restano uguali a se stessi? Passano gli anni, cambiano gli schieramenti, ma il taglio di capelli è sempre quello: se uno porta i baffi li porterà per sempre; stessa montatura di occhiali, stessi pettinatura e colore. I politici, più che voler diventare icone, vogliono diventare dei marchi, dei brand. Vogliono essere rassicuranti nella loro staticità piuttosto che travolgenti nella loro (auspicata da noi!) attività. Leggendo Circo Itaglia questo inganno è letteralmente spiattellato in faccia. Noi crediamo che Circo Itaglia sia il primo, il più divertente e corrosivo testamento di questa fantomatica “Seconda Repubblica”».

Cosa pensa della multimedialità dell’arte – e della polisemia che ne deriva?
F.C.
:«Dal momento in cui l’arte è uscita dal confino del museo, della sala per concerti, del manoscritto ricopiato e tramandato, ha necessariamente dovuto farsi multimediale. Lo diceva già Marshall McLuhan (sociologo canadese, n.d.r.): “il mezzo è il messaggio”. Oggi diremmo che, a seconda del mezzo, la stessa arte riesce ad avere un significato diverso. Se la riproducibilità tecnica dell’arte ne ha distrutto (almeno per i puristi) l’aura, secondo noi l’ha fatta sbocciare perché l’ha riconsegnata al fruitore, unico e ultimo destinatario, con l’uso che egli ne farà e col senso che le darà. Immaginate il significato che può avere un quadro ammirato in un museo rispetto a un quadro che si può indossare e col quale si può dire agli altri chi si è: per noi entrambi i significati hanno pari dignità perché è proprio la multimedialità che ha reso l’arte estensione di noi stessi, facendola diventare elemento fondante della nostra personale narrazione verso il mondo che ci circonda. E poi noi siamo editori, e quale forma espressiva riesce a essere più polisemica della scrittura?».