Barlumi estemporanei dello stato emozionale dell’intuizione

Oltre l’orlo del pensiero razionale straborda ancora irrisolta la poesia dell’emozione innestandosi in un sentire condiviso nell’attimo inconsapevole dell’incontro. In un frangente così fortemente inciso dalla fragilità del transitorio la scintilla dell’intuizione artistica accresce il suo potenziale di scoperta, oltrepassando i limiti preposti dal suo indirizzo chiaroveggente. “Immaginare” si trasfigura in azione connettiva, in grado di svelare i vincoli che suggellano gli elementi mitici del sogno alle componenti tangibili del reale.

È quanto accade nelle profondità esperite dalle visioni emozionali di Tristano Monaca (Monterotondo, 1995), che attraversando associativamente contrapposizioni e accordi divergenti di un tempo estatico, ricordano l’importanza di mettersi in relazione con l’intimità di una duplice realtà, individuale ed empatica, non solo da rinvenire, ma anche da rivalutare come pratica etica nel contesto della postmodernità. In un periodo storico, che più di ogni altro fino a oggi, si trova a essere costruzione riflessiva degli istinti emozionali della società, e dove quindi l’“Emozione” si presenta come sostanza identitaria della contemporaneità, la ricerca artistica di Tristano Monaca si inserisce in un canale d’azione privilegiato, convogliando l’attenzione del pubblico sul mistero del tessuto empatico alla base della sfera relazionale. In questi termini la fascinazione per la parte in ombra dell’empatia, focalizzata nella parte più recondita dell’individualità del singolo, emerge riconfigurandosi nella sostanza della dimensione onirica. Sussiste una certa affinità formale tra lo spazio del sogno e la realtà del “sentire”, sia per quanto concerne la questione della consistenza materica, entrambe in questo senso astratti ed effimeri, sia in relazione al contenuto segreto che custodiscono. In particolare l’enfasi sull’aspetto emblematico del mistero emerge anche nella definizione dell’emozione nel saggio del filosofo e psicanalista Umberto Galimberti: «L’emozione è il mistero che si forma nella parte più antica del nostro cervello per poi ripercuotersi nelle parti considerate più nobili della nostra psiche».

Tale assunto evidenzia come all’origine del processo di elaborazione e filtraggio emozionale sia presente uno spazio di vuoto in cui l’assenza, in quella zona inconsapevole dell’Io, sia generatrice dei molteplici fili delle potenzialità. È l’intimità del contatto con tale entità indefinita che realizza la forma dell’identità ad approssimare l’individualità dell’artista verso la condizione dell’altro, rendendolo maggiormente sensibile a una percezione universale e orientativamente pronto a intercettare un sentire condiviso. Secondo il pensiero teorico del filosofo e scrittore svizzero Alain De Botton «superata la fase della lotta per la sopravvivenza» si delineerà un orizzonte storico segnato dall’urgenza della riscoperta delle abilità relazionali e dell’intelligenza emotiva in funzione della «ricerca dell’amore e non dei beni materiali» che si rivelerà essere in futuro «la molla delle nostre conquiste»4. In una prospettiva prossima colpita dagli effetti collaterali della rincorsa intrapresa dal materialismo individualista le dinamiche connettive dell’empatia saranno vitali per progredire nella strutturazione di un nuovo microcosmo in cui possa essere restaurata l’umanità dispersa. In questo quadro la scelta dell’artista di immergersi nelle profondità di una sfera dimensionale celata già nell’esistente, in cui l’interferenza tra il tessuto organico dell’universale, che sotterraneamente interconnette ogni individualità del cosmo, e l’esperienza dell’assoluto, che si manifesta nell’eterogeneità di archetipi emotivi universali, assume un risvolto pienamente impegnato nel contesto dell’azione sociale. Indicativa in tale prospettiva è la scelta dello spazio espositivo che si rivela tutt’altro che casuale. La specificità di Ultrablu, che come spazio ibrido nella sua molteplice identità di atelier, laboratorio, libreria e caffetteria sviluppa l’interazione sociale, si riflette specularmente nelle visioni di Monaca, connaturate simultaneamente dallo stesso elevato grado di ibrida articolazione strutturale, e inevitabilmente dallo stesso desiderio di manifestarsi come strumenti d’azione connettiva.

Analizzando nello specifico queste due prospettive si può notare come nel primo caso l’incessante ricerca dell’artista, intento nello sfogliare strato dopo l’altro l’eterogeneità della sua identità, scavando negli anfratti della sua interiorità, si concretizza nell’iconografia dell’acqua che accompagna le grandi tele In Abisso, Padella e Vasca. Esposte in apertura della personale, il trittico dà una precisa chiave di lettura al lavoro dell’artista. Per accedere alla dimensione della conoscenza è necessario attraversare la vacuità fluida della sostanza primaria organica, ripercorrendo un percorso oltre i limiti del pensiero razionale, in modo tale da poter rintracciare quello stato di inconsapevolezza originario dei primi istanti di vita nel liquido pre-amniotico; momento in cui si stratificano le infinite potenzialità dell’esistenza. Monaca invita il fruitore a imbarcarsi in un viaggio di scoperta nei territori liminali della transizione, accettando la sfida del vuoto, da sempre ostica da affrontare per la concezione culturale occidentale, nel tentativo di approdare alla verità dell’identità. La seconda linea di ricerca, nonostante caratterizzi globalmente l’intera produzione dell’artista, vede in particolare nella serie dei ritratti una sua specifica declinazione. Personificazioni di condizioni emotive transitorie cristallizzate in volti atemporali, i ritratti presentandosi come manifestazioni di entità realmente esistenti all’interno di un perimetro dimensionale specificatamente circoscritto, evocano l’esperienza dell’interconnessione empatica, nonostante la distanza che li separa dal reale. Immersi nelle profondità di Altrove dal tessuto ibrido, tali entità cercano infatti di affacciarsi, con i loro curiosi primi piani nell’al di qua, assumendo la funzione di veri e propri ponti tra la polarità di due universi sistemici. In questo modo si esplica la loro carica connettiva, ma non solo. I ritratti sembrano correggere inoltre una distanza artificiale, che è quella rappresentata dall’indifferenza di coloro reclusi nel piacere edonistico del proprio stesso “sentirsi”, diametralmente lontano dal “sentire” al di fuori della propria percezione individuale. I volti mettono in contatto le singolarità di persone, storie ed esperienze molteplici, attivando un “sentire comune” che si rivolge alla collettività, riconoscendo la valenza universale di sentimenti ed emozioni condivisi.

Padella Tristano Monaca Alla Fine Degli Strati, Ho Molti Inizi ©credits Marco Ponzianellill rapporto con questa universalità si riflette nell’influenza che ha sul linguaggio artistico di Monaca la poesia, in particolare quella del poeta ucraino Paul Celan (1920-1970), che oltre ad essere noto interprete della riflessione critica intorno all’Olocausto, è stato anche attento critico dei meccanismi intorno alla tematica identitaria. Nella sua linea poetica la “polisemia”, cioè la proprietà per la quale una parola esprime molteplici significati, trova un rilievo di primo piano nella composizione linguistica, come evidenzia il poeta: «La poesia…può essere un messaggio nella bottiglia gettato a mare nella convinzione che possa approdare su una spiaggia». È in questa dinamica di détournement, di spostamento di significato, che si instaura l’affinità elettiva tra Monaca e Celan.

Il lampo intuitivo dell’idea si traduce negli schizzi e nelle tele dell’artista in un’apparizione squisitamente visiva, slegandosi dai vincoli imposti dalla pagina scritta e in parte anche dall’orizzonte propriamente tragico della poesia di Celan, trovando nella dimensione onirica di Monaca un nuovo approdo per nuove soluzioni evocative.

Al di là del margine della tela bianca l’Altrove permane in tutta la sua diametrale presenza reale, continuando a dare prova della sua esistenza riflettendo sulla superficie terrestre i barlumi estemporanei dello stato intuitivo emozionale.

La mostra continua
Ultrablu
Piazza Americo Capponi, 7 – Roma
7 maggio – 25 maggio 2022
Dal lunedì al giovedì 11:00 – 20:00, venerdì 11:00 – 24:00, sabato 18:00 – 24:00, domenica 15:00 – 20:00

Alla fine degli strati, ho molti inizi
di Tristano Monaca
Testo critico di Erika Cammerata