Corsi e ricorsi dell’arte

Mostra primaverile per il Lucca Center of Contemporary Art che apre i suoi spazi a una doppia personale, protagonisti: Andy Warhol e Laurence Gartel.

La collaborazione tra arte e industria e la nascita del design, che sono stati i corrispettivi pratici di portati filosofici e ideologici che vanno dal bisogno di rendere fruibile a fasce più larghe della popolazione il concetto di bello, alla riproducibilità dell’opera d’arte degradata o elevata – a seconda dei punti di vista – a oggetto, sono istanze e tendenze che muovono i primi passi nell’Inghilterra delle Arts & Crafts di fine Ottocento, diventate poi teoria e pratica in quel magnifico esperimento che fu il Bauhaus (dal ‘19 al ‘33).
In un certo senso, quindi, la Pop Art non fu certamente rivoluzionaria e Warhol, semmai, si distanziò dai movimenti che lo precedettero più che altro per il fine. Mentre il Bauhaus andava affermando che “l’arte non è una professione, non c’è alcuna differenza sostanziale tra l’artista e l’artigiano” (dal Manifesto programmatico), sicuramente Warhol – sebbene producesse serigrafie e litografie in serie nella sua Factory (con rimandi alla bottega artigiana rinascimentale ma, soprattutto, a una normale fabbrica di pezzi di design) – considerava se stesso un artista con la A maiuscola e le sue opere non erano intese, sebbene prodotte e riprodotte in massa, per la massa, bensì per chi potesse permettersele e, quindi, con un valore economico che era ora disgiunto dall’unicità del pezzo (la concept art, in seguito, farà molto peggio).
Piramide ideologica capovolta a parte – del resto, Warhol era statunitense e figlio di una società fortemente competitiva e votata al capitalismo, mentre il Bauhaus si sviluppava dopo la Prima Guerra Mondiale in una Germania stremata ma con forti istanze comuniste e/o populiste –  la mostra al Lu.C.C.A. Center è ricca di opere e spunti, con filoni di ricerca particolarmente interessanti.


Tra le serigrafie ormai famose che riproducono il volto di Marilyn o Mao Zedong, spicca la litografia su carta, del 1975, che ritrae un Mick Jagger in cui le mani, in primo piano rispetto al volto, suggeriscono un atteggiamento meditativo che si discosta totalmente dalla sua immagine di animale da palcoscenico. Sempre in mostra, le belle litografie su carta: Ten Portraits of Jews of the 20th Century (1980) che, nella stilizzazione dei ritratti, raggiunge un eccellente effetto iconico; e Ladies and Gentlemen (1975), che si arricchisce nei particolari di vestiario e nei geroglifici visivi che ne connotano personalità e tendenze.
Un discorso a sé meritano le sculture oggettuali che pongono a icone del proprio tempo oggetti di uso comune o altri, appartenuti a star della musica, come la teca di vetro che racchiude ed eternizza il cappello e la chitarra autografata di Michael Jackson, con una copia della rivista Time che lo ritrae in copertina (opera del 1985). E ancora, in mostra due tra le più celebri copertine del mondo del rock, entrambe opera di Warhol: quella del 1971 di Sticky fingers (ma la famosa tongue & lip dei Rolling Stones era stata disegnata da John Pasche) e quella del ’67 dei Velvet Underground and Nico (con la celeberrima banana).
Ulteriori suggestioni arrivano dalle copertine degli anni 80 di Interview, rivista fondata da Warhol, insieme a John Wilcock e a Gerard Malanga nel 1969. Copertine che, nei ritratti patinati di celebrità e belle donne, raccontano un mondo di apparenze, fittizio nella sua levigata ricercatezza, immagine icastica di quell’orgia di yuppismo arrogante che sarebbe annegata nei debiti e nelle crisi finanziarie degli anni 90.
Accanto al padre della Pop Art, in mostra anche alcune opere di Laurence Gartel – forse meno noto in Europa di Warhol presso il grande pubblico. Tra gli ideatori dell’arte digitale, Gartel è un nome noto soprattutto nel mondo musicale, avendo lavorato per pop star come Britney Spears e Justin Timberlake; e nella valorizzazione dei brand, con la campagna del 1990 per la Absolut Vodka (in mostra, Absolut Gartel) – forse tra i primi esempi di pubblicità d’arte digitale (e, del resto, anche qui nulla di nuovo sotto il sole, dato che già l’Art Nouveau aveva dato un grande contributo al rinnovamento della grafica pubblicitaria).

In mostra, però, anche alcune composizioni che ripropongono, grazie agli effetti creati dal digitale, il papier collé. Da Millennium Girl, 1997, con molti riferimenti iconici all’Italia; a Grafeeti, 1998, che in quei piedi tatuati sembra irridere l’intera società.
Curiosa la vicinanza prospettica e tematica anche di un’altra opera di Gartel, ossia Ferrari (1995), con Aux courses en province (1869/72) di Edgar Degas, dove alla spider basta sostituire un calesse per raccontare un mondo con una sola immagine.
Al pubblico continuare la visita, godendo di rimandi e riferimenti.

Lo mostra continua:
Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art
via della Fratta, 36 – Lucca
fino a domenica 18 giugno
orari: da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle 19.00 (lunedì chiuso)

Warhol vs Gartel. Hyp Pop
a cura di Maurizio Vanni
in collaborazione con Spirale d’Idee, Artelite, Ef Arte, Mviva Srl e Metamorfosi Associazione Culturale
con il supporto di Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione BML e Gesam Gas & Luce