Il Teatro delle meraviglie

Un percorso tra suggestioni scenografiche alla Fondazione Prada di Milano, in occasione della mostra curata da Wes Anderson e Juman Malouf.

Il viaggio nell’universo della Fondazione Prada parte dal Cinema, una delle strutture ex industriali che ora fanno parte del complesso espositivo, dove si trova l’installazione permanente di Thomas Demand, Processo Grottesco. Come accade sempre più spesso nell’arte contemporanea, più che sul prodotto finale ci si concentra sul processo ideativo e creativo che ha portato, in questo caso, alla costruzione tridimensionale (e in scala) di una grotta, utilizzando del semplice cartone ritagliato. Interessante il gioco di luci per ricreare l’atmosfera naturale, ancora più interessante la metateatralità dell’intero apparato denunciata dal faro a vista, dalle scale in alluminio, dal modellino compresente nel medesimo ambiente.

Curiosando in giro, si prosegue al nono piano della Torre con il percorso al buio di Carsten Höller, Gantebein Corridor, del 2000. Per quanto esperienza ormai un po’ inflazionata, e anche eccessivamente commercializzata (visto il moltiplicarsi dei ristoranti in cui si cena al buio), prendersi un tempo più lungo per percorrere un breve tratto, ritrovarsi immersi nell’oscurità e, soprattutto, riemergere in una stanza in stile Alice nel paese delle meraviglie grazie ai funghi (rimando allucinogeno?) sospesi al soffitto, ha il sapore di un gioco felicemente riuscito. Scendendo, nella sala all’ottavo piano, una serie di installazioni – rinchiuse in cubi di vetro come farfalle sottovuoto – scorre accanto a lavori di William N. Copley (che lasciano abbastanza perplessi in sé e nel raffronto). Interessante, al contrario, una tra queste installazioni di Damien Hirst, composta essenzialmente di un ombrello sospeso a mezz’aria, aperto sotto la pioggia. La sua sistemazione di fronte alla vetrata a tutta parete che si apre sulla città, vista dall’alto, crea un cortocircuito tra interno ed esterno, reale e immaginifico, presente e potenziale, che ancora una volta crea quel senso di sospensione del principio di incredulità che ci aveva colpiti al piano superiore col lavoro di Höller.

La sensazione di gioco o di trovarsi in un mondo alla rovescia riemerge con Cell, di Louise Bourgeois (del 1996). Nello stile consueto, l’artista rinchiude un universo di senso in un piccolo ambiente claustrofobico che cela e rivela dietro a porte di legno scrostate, con o senza vetri, con buchi della serratura dove viene spontaneo appoggiare l’occhio – il che trasforma lo spettatore in voyeur di un’intimità in qualche modo violata. Ciò non solamente perché si intravedono abiti e biancheria abbandonati in una specie di toeletta o camerino (e qui torna il senso prepotente di teatralità) ma si legge, su uno di quegli stessi abiti, come fosse la proiezione della mente della loro proprietaria, una frase emblematica: “The cold of anxiety is very real”. L’ansietà può essere manifestazione emozionale dell’attesa e l’attesa, la sospensione temporale, si riflette in quella spaziale negli abiti appesi. Eppure, nonostante ciò, e nonostante i monconi di manichini di pezza abbandonati, si respira un’aria per nulla angosciante, quanto pregna di intimità ritrovata.

A questo punto ci approcciamo alla mostra curata da Wes Anderson e Juman Malouf, Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori. E ci piacerebbe continuare la nostra visita sotto il segno della teatralità evitando la disamina puntigliosa delle opere in quanto più o meno artistiche e più o meno di valore. Questo perché ci ritroviamo in una camera delle meraviglie, o a una Wunderkammer, uno di quei gabinetti delle curiosità dove ricchi soprattutto nobili collezionavano, tra il XVI° e il XVIII° secolo, oggetti di ogni tipo purché in qualche modo originali, capaci di sorprendere, di creare un senso di fascinazione perturbante nella mente del visitatore. Inutile, quindi, restituire il valore artistico o monetario di una collezione che ha ben altri fini.

La penombra che ci accoglie crea da subito la sensazione di immergerci in uno spazio sospeso nel tempo. Per chi preferisce il piglio enciclopedico il consiglio è di aderire alla visita guidata o di affidarsi ai libriccini disponibili, gratuitamente, all’ingresso della mostra, che descrivono uno per uno gli oggetti esposti. Noi continueremo, al contrario, a sollecitare alcune riflessioni estemporanee sugli accostamenti proposti – quasi da montaggio à la Ėjzenštejn (visto anche che il curatore, Wes Anderson, è regista). Un bel cortocircuito estetico è quello creato dal ritratto di un imitatore dell’Arcimboldo che ricostruisce i tratti della Donna con frutta e verdura, in maniera un po’ rozza e piatta, rifacendosi comunque al gioco dell’illusione ottica; con accanto un grappolo d’uva che appare davvero tridimensionale, ottimo esempio di un altro genere di illusione ottica (prospettica) firmato da Philipp Ferdinand de Hamilton. Tra gatti e selvaggina, spicca il minuscolo Sarcofago di toporagno in legno (che dà il titolo alla mostra) – e che in sé reca tutta l’ironia di un oggetto tanto prezioso in quanto antico e raro (Egitto, IV° secolo a.C.), eppure semplice e di materiale povero, se confrontato con la nostra comune idea dei sarcofaghi, legata alla regalità e opulenza dei faraoni. In una stanza/scrigno a sé, due collezioni curiose quando messe a confronto: i camei che, per lo più, ritraggono figure femminili o, comunque, di bambini e giovanetti delicati; e i piccoli busti, esempi (sempre per lo più) di maschia virilità imperiale. Se armi e urne (diremmo non a caso ma, anzi, conseguentemente) sono affiancate, colpisce anche, nei pressi, una splendida pipa di corno e madreperla (forse monito quanto sarebbe la scritta: “Il fumo uccide”). E se sulla parete dei ritratti spiccano per bellezza e ricercatezza nei costumi, Isabella d’Este di Rubens e l’Arciduchessa Anna di Jakob Seisenegger, per curiosità (e questo è lo scopo della Wunderkammer) non sono da meno l’Uomo irsuto e figli (tutti affetti, come il protagonista di Fur, il film dedicato a Diane Arbus, da ipertricosi). Il gioco potrebbe proseguire per ore: ma adesso tocca a voi giocarlo. Vi lasciamo con un’ultima immagine, suggestiva e pertinente: il modello scenico per I masnadieri di Friedrich Schiller. E su questo, caliamo il sipario.

La mostra continua:
Fondazione Prada
largo Isarco, 2 – Milano
fino a lunedì 13 gennaio 2020
orari: lunedì, mercoledì, giovedì, dalle ore 10.00 alle 19.00; venerdì, sabato, domenica, dalle ore 10.00 alle 21.00

Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori
progetto espositivo di Wes Anderson e Juman Malouf
mostra organizzata in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna

Nella foto: Wes Anderson e Juman Malouf. © Christian Mendez