I tanti corpi di un autore infinito

In contemporanea a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, al Palazzo Barberini e al
MAXXI sono visitabili tre mostre diverse e sfaccettate su Pier Paolo Pasolini, sotto il
segno comune della santità diffusa nel mondo.

«Tutto è santo». Queste parole, che il centauro Chirone pronunciava all’inizio della
Medea, si sono espanse a rappresentare l’atteggiamento complessivo di Pasolini nei
confronti del reale in una rassegna di mostre che in un certo senso viene a porre il
compimento delle celebrazioni del centenario pasoliniano, perlomeno su Roma. In
un caso piuttosto unico, soprattutto se si considera che Pasolini è stato uno scrittore
e un regista stilisticamente molto sfaccettato, ma ma mai un artista nel senso stretto
del termine al di là di qualche occasionale quadro e schizzo, il Palazzo delle
Esposizioni, Palazzo Barberini e il MAXXI hanno organizzato un tris di mostre in
contemporanea che, sotto il titolo comune di Tutto è santo, si sono tematicamente
differenziate grazie ai tre sottotitoli che sono rispettivamente Il corpo poetico, Il
corpo veggente e Il corpo politico.
Curate collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera,
Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Pietromarchi e
Clara Tosi Pamphili, inaugurate tra ottobre e novembre secondo una scansione bi-
settimanale, queste tre mostre finiranno tra febbraio e marzo. In un anno già denso
di manifestazioni pasoliniane come questo 2022 il trio di mostre Pier Paolo
Pasolini. Tutto è santo certo non offre nuove interpretazioni copernicane dell’opera
di P.P.P., ma propone, secondo una modalità inusuale di fruizione, un tour
multiforme nell’immaginario pasoliniano.

La mostra Tutto è santo. Il corpo poetico, quella proposta al Palazzo delle
Esposizioni, è per molti versi quella più canonica e introduttiva. Si compone
esclusivamente materiali di un gran numero di materiali che mirano a comporre un
ritratto “corporeo” di Pasolini, spaziando tra fotografie vintage, giornali d’epoca,
prime edizioni dei libri di P.P.P., e di numerosi costumi e oggetti di scena. Tra i molti
documenti esposti al Palazzo delle Esposizioni, spiccano un diario fotografico della
lavorazione del film Accattone, numerose riviste e quotidiani d’epoca, incluso il
dialogo tra PPP e la Fallaci sull’America apparso nelle pagine dell’Europeo
nell’autunno 1966, e soprattutto il numero dell’Espresso del giugno 1968 che
conteneva Il PCI ai Giovani e la furibonda discussione che si era aperta tra Pasolini,
Vittorio Foà, Claudio Petruccioli e due rappresentanti del movimento studentesco a
proposito del contenuto antisessantottino della poesia Impressionante è l’elenco di
tutti i procedimenti giudiziari di cui fu vittima Pier Paolo Pasolini per più di
venticinque anni, dal 1949 dei fatti di Ramuscello al 1977 quando venne ordinato il
dissequestro di Salò o le 120 giornate di Sodoma, tratto dal celebre Pasolini:
cronaca giudiziaria, persecuzione, morte curato da Laura Betti a ridosso dell’omicidio Pasolini. Tra le accuse più fantasiose, sintomatiche di un clima
persecutorio e arbitrario diffuso a livello nazionale, la storia di un barista del Circeo
che accusò Pasolini di aver cercato di rapinarlo minacciandolo con una pistola carica
a proiettili d’oro (sic!), e il procedimento civile, durato ben cinque anni, contro
Pasolini, per la morte di cinquanta pecore nella provincia di Catania, uccise da un
branco di cani impiegato da Pasolini e la sua troupe per le riprese di Porcile.

Il corpo veggente, la mostra allestita a Palazzo Barberini, ha forse il taglio che più
ci si aspetta di trovare all’interno degli spazi di una delle Gallerie Nazionali. Questa
mostra infatti esplora e illustra il ruolo determinante dell’ispirazione della tradizione
artistica nel cinema e nell’immaginario figurativo pasoliniano, «dai Primitivi al
Barocco, dall’arcaismo ieratico dei pittori giotteschi al realismo sovversivo di
Caravaggio». Ad aprire la mostra a Palazzo Barberini è una cronologia che si
dipana tra il 1950 e il 1975, atipica, più attenta ai fatti d’Italia che agli episodi della
vita del poeta. In realtà, gli eventi storici scelti ed evidenziati da questa cronologia
iper-selettiva hanno un recondito ma potente legame con la sensibilità politica e
polemica di P.P.P.: come il decreto legge del 31 dicembre 1962, che realizzò la
scuola media unica, abolendo così, di fatto, tra i giovani, quei dialetti che tanto
Pasolini aveva amato negli anni della sua giovinezza, vivendo in diverse parti d’Italia
– Bologna coi suoi portici, il Friuli rurale, dal 1950 le periferie di Roma, infine l’EUR.
La mostra a Palazzo Barberini evidenzia adeguatamente anche l’importanza che
ebbero sulla formazione del giovane Pasolini i due maestri Gianfranco Contini, critico
letterario e primo recensore delle Poesie a Casarsa sul Corriere della Sera, e
Roberto Longhi, critico d’arte suo docente all’Università di Bologna. In uno degli
ultimissimi servizi fotografici dedicati a Pasolini, realizzati da Dino Pedriali nella
casa-rifugio del poeta a Chia, si vede anche il maturo Pasolini abbozzare un ritratto
del suo antico maestro d’arte, inderogabile maître à penser di P.P.P. fino agli
ultimissimi giorni della sua vita. Il passato diviene una metafora del presente: in un
rapporto complesso, perché il presente è l’integrazione figurale del passato, aveva
scritto una volta Longhi in uno dei suoi saggi maggiori, perché ciò che ci attrae a
tornare indietro è altrettanto umano e necessario di ciò che ci spinge ad andare
avanti. Lo stesso atteggiamento nei confronti del passato si riverbera lungo tutto
l’opus pasoliniano, che sin dalle prime liriche manifestò una forte componente
nostalgica nella sua ispirazione.
La passione di Pasolini per i classici figurativi della pittura italiana non gli impediva
altresì di mantenere un’attenzione costante verso l’arte a lui contemporanea: lo
testimonia bene il film sessantottino Teorema, in cui fa capolino un volume dedicato
alla pittura di Francis Bacon, aperto su una pagina che mostra un trittico dedicato
alle Eumenidi – e tra le sorprese della mostra a Palazzo Barberini c’è anche una
copia del volume in questione, una monografia su Bacon scritta da John Rothenstein e Ronald Alley ed edita in Italia da Silvana appena due anni prima della
realizzazione del film. L’attenzione di Pasolini per le avanguardie – uno degli
ultimissimi suoi scritti, a livello cronologico, fu un’introduzione per il catalogo di una
delle prime mostre di Andy Warhol in Italia – venne peraltro a unirsi ad una
soffocante angoscia per la scomparsa del corpo popolare – «l’ultimo luogo in cui
abitava la realtà, cioè il corpo, ossia il corpo popolare, è anch’esso scomparso», si
legge in Petrolio. Le figure di Bacon erano indubbiamente le più adatte, ad
esprimere questa sensazione di perdita dell’umano e del reale, prima che la notte del
2 novembre 1975 arrivasse a ‘baconizzare’ Pasolini stesso.
La questione delle ispirazioni pittoriche di Pasolini si fa particolarmente pressante
quando si propose di trasporre al cinema soggetti di arte sacra, soprattutto ne La
ricotta e nel Vangelo secondo Matteo, ma non solo. «Non c’è santità senza la
contraddizione e lo scandalo», scrisse Pasolini nell’introduzione in versi di E venne
un uomo di Ermanno Olmi, e il primo corpo scandaloso dell’arte occidentale fu
proprio quello del Cristo, come venne detto per la prima volta da San Paolo. La
Croce, «scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani», è una delle più ricorrenti
immagini del cinema pasoliniano: croci sullo sfondo e cristologismi vari non appaiono
solo nella Ricotta e nel Vangelo, ma anche in Accattone, in Mamma Roma, in
Uccellacci e Uccellini, persino nella Medea. Peraltro al termine del controverso
servizio fotografico che Dino Pedriali dedicò a Pasolini vediamo lo scrittore nudo
nella sua stanza, intento a leggere nientemeno che le Confessioni di sant’Agostino.
Se sin dal titolo la mostra ripete il refrain pasoliniano del «tutto è santo», non si può
dimenticare come Pasolini stesso, in una celebre lettera aperta a Marco Bellocchio a
proposito del suo I pugni in tasca, scriveva che «è qualcosa che scandalizza per il
fatto stesso che è come è, è la sua natura che scandalizza: perché, per una ragione
o per l’altra, è una natura diversa». Tutto è santo, quindi, ma tutto è anche
scandaloso, in una commistione tra sacro e profano che nessuno, nemmeno
Ceronetti, è riuscito ad esprimere con la stessa forza angosciata di Pasolini, nella
cultura italiana del secondo Novecento.

Delle tre mostre Il corpo politico, quella allestita al MAXXI, è la più sperimentale e
anche la più vicina a certi stilemi dell’arte contemporanea, nel bene e nel male. Ne Il
corpo politico la chiave di lettura dell’opera pasoliniana è restituita attraverso le
voci di artisti contemporanei, «le cui opere evocano l’impegno politico dell’autore e
l’analisi dei contenuti sociali ispirati alle sue opere». La mostra si fa forte così di un
percorso concepito «come un dialogo serrato tra le opere degli artisti e gli oltre
duecento documenti legati all’ultima fase della carriera di Pasolini». Il percorso della
mostra, accompagnato dalla voce di Gabriella Chiarcossi, cugina di Pasolini e sua
curatrice testamentaria, espone quindi opere di artisti come Fabio Mauri, Lino
Pasquali e Giulio Paolini oltre che dello scenografo Dante Ferretti, che debuttò al
fianco di Pasolini per poi arrivare a vincere ripetutamente premi Oscar al fianco di Tim Burton o Martin Scorsese, e di cui sono esposti tre lampadari d’artista utilizzati
sul set del film Salò. Rispetto a Il corpo poetico e Il corpo veggente, Il corpo politico è senza dubbio la mostra con le maggiori aperture tematiche, con tutto che la selezione di opere di arte contemporanea non sempre appare ponderatissima. I manufatti in esposizione infatti a volte più che Pasolini sembrano rifarsi alle sue stesse fonti – è il caso ad esempio di Sade for Sade’s Sake firmata da Paul Chan, un’installazione video del
2008 che si rifà all’immaginario sadiano senza passare per Salò; in un altro gruppo
di opere esposte il sino-francese Yan Pei Ming invece rielabora brillantemente
Caravaggio, a sua volta rielaborato da P.P.P. in molti suoi film. A maggior ragione
nel caso di Pino Pascali il nesso tematico è minimo: fanno parte de Il corpo politico
due lavori visivi su Pulcinella che dovrebbero alludere all’amore di Pasolini per la
cultura napoletana, definitivamente incarnato nel Decameron, ma l’associazione è
un po’ troppo artificiosa, per rientrare in una mostra su Pasolini, con tutto che i due
video di Pascali siano senz’altro dei documenti molto interessanti, in sé per sé.
Questo appunto, non vale, chiaramente, per l’integrità delle opere esposte: Giulio
Paolini ci consegna uno dei lavori più interessanti, collage e schizzi per una messa
in scena in forma di balletto di Teorema, risalente al 1999 e diretta da Davide
Bombana per il Maggio Fiorentino. Footnotes di Alvin Curran tenta una sintesi
randomica che mira a suggerire, con pochi elementi, l’immaginario pasoliniano nel
suo complesso. Affascinante e tematicamente pasolinianissima, seppur calata nei
contesti dei reality show, è l’installazione video Comizi di non amore di Francesco
Vezzoli, datata 2004. Non mancano peraltro nel percorso della mostra alcuni
straordinari documenti d’archivio come le bozze metà manoscritte metà dattiloscritte
che testimoniano la lavorazione work in progress di alcuni dei più celebri articoli di
giornale poi confluiti negli Scritti Corsari, incluso Il coito, l’aborto, la falsa
tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti, che segnò l’apice della
sua controversa polemica contro il diritto all’aborto ai tempi recentemente
riconosciuto. Punto di approdo del percorso de Il corpo politico è infine, e
meritatamente, Oscuramento, trittico di Fabio Mauri del 1975, composto dalle foto
della performance Intellettuale – il Vangelo di Pasolini proiettato sul corpo stesso di
P.P.P. -, La storia e una terza, senza titolo, composta da foto di politici del tempo.
Delle tre mostre, Il corpo politico è probabilmente la più originale e la più
incompiuta, la più ampia e la più astratta, a tratti fumosa ma certo creativa
nell’accostamento di artisti, opere, documenti d’archivio e differenti linguaggi.

Il corpo epifanico, il corpo scandaloso, il corpo del cordoglio, il corpo popolare, il
corpo soggetto, queste dizioni si inseguono tra le didascalie e le note di
presentazione di tutte e tre le mostre. È il corpo, in fondo, l’impensabile, o
quantomeno l’impensato, il punto di fuga che, tutt’a un tratto rappresentato prima nelle parole e poi nelle inquadrature di Pasolini nella sua cruda naturalità, ha fatto
esplodere lo scandalo e ha reso P.P.P. tanto iconico quanto inconcluso, tanto
irriverente quanto inscalfibile. Se c’è una cosa che questo anniversario pasoliniano
ha dimostrato bene è proprio questa, che l’Italia non finirà mai di digerire
culturalmente il suo intellettuale più sfaccettato e più ambiguo, più scandaloso e più
risonante. Le tre mostre di Tutto è santo spostano – di nuovo – il corpo-a-corpo in un
altro orizzonte, verso nuovi linguaggi, senza mai sperare di “concludere” Pasolini.

La mostra continua
Palazzo delle Esposizioni
Roma, Via Nazionale 194
dal 19 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023
Tutto è santo. Pier Paolo Pasolini. Il corpo poetico
a cura di Giuseppe Garrera, Cesare Pietroiusti, Clara Tosi Pamphili e Olivier Saillard

La mostra continua
Palazzo Barberini
Roma, via delle Quattro Fontane 13
dal 28 ottobre 2022 al 12 febbraio 2023
Tutto è santo. Pier Paolo Pasolini. Il corpo veggente
a cura di Michele Di Monte

La mostra continua
Palazzo delle Esposizioni
Roma, via Guido Reni 4
dal 16 novembre 2022 al 18 marzo 2023
Tutto è santo. Pier Paolo Pasolini. Il corpo politico
A cura di Hou Hanru, Bartolomeo Pietromarchi, Giulia Ferracci