Black identity ed estetica dell’altro

Lotta e cultura si fondono nelle ricerche degli artisti afro-americani, che con la mostra Postcard from New York evidenziano l’urgenza di non dimenticare.

Se si scorre tra le parole del dizionario e si presta particolare attenzione al termine “diverso” si può subito notare come questo sia inscindibilmente legato ad un’accezione negativa, poiché come si trova scritto:”divèrso agg. e s. m. [lat. divĕrsus, propr. part. pass. di divertĕre «deviare», comp. di di(s)-1 e vertĕre «volgere»]. – 1. agg. Propr., volto in altra direzione, in senso proprio e figurato; quindi anche alieno, lontano… I sign. più comuni: a. Che non è uguale né simile, che si scosta per natura, aspetto, qualità da altro oggetto, o che è addirittura altra cosa.”

Inoltre il dizionario spiega che al contrario del termine differente, che indica una distanza meno netta, quando si parla di diverso la discrepanza è totale. Ciò che è lontano e che non si comprende e conosce inevitabilmente spaventa, proprio in quanto un abisso separa l’ignoto dal conosciuto; essere diverso diviene quindi sinonimo di condizione limitante e confinante nella quale si ristagna non potendo uscire e venendo criticati quando si prova ad evadere. Le categorie sono una semplificazione mentale per l’essere umano, che nonostante è creatura complessa non riesce ad elaborare tutti i dati posseduti se non rendendoli più lineari, ma se da una parte questi aiutano a dare ordine al caos della realtà, dall’altra parte l’ossessiva categorizzazione, limita a sua volta il campo stesso della comprensione, dimenticando che le cose sono più complesse di quello che in apparenza appaiono. Lo sanno bene gli artisti afro-americani che nel loro paese (l’America) si sono ritrovati a dover dare una voce al loro passato, quello degli anni della diaspora africana e del tempo del colonialismo e dello schiavismo, che hanno cambiato per sempre il destino di un intero popolo. Apre le porte la galleria Anna Marra Contemporanea con la seconda mostra Postcard from New York – part II dedicata appunto a coloro che attraverso la propria arte combattono ancora per non dimenticare quel che è stato e per appuntare come è oggi vivere all’interno di un melting pot come è la Grande Mela.

Dapprima si assiste entrando in galleria al lavoro di William Villalongo afro-americano di origini portoricane: occhi profondi che scrutano nelle pieghe di neri veli intaglianti e mani nere che robuste afferrano vigorose la stessa stoffa coprente. In Uplift e Holding it down forza e leggerezza si supportano l’un l’altra condividendo lo stesso spazio compositivo, l’agilità del gesto e la sua nettezza trasmettono una consapevolezza e un urlo di protesta disincantati, eppure ancora speranzosi e avidi di rivincite. Accanto alle opere di Villalongo si trovano in discostante comunione i picotage dell’artista giamaicano Paul Antony Smith. Ibrido tra foto-collage e dipinto i picotage irradiano una luce particolare, e allo stesso momento sono i perfetti messaggeri di quell’idea di cultura contaminata e alterata che ha creato il fenomeno del colonialismo, costringendo la popolazione africana ad adottare usanze straniere soppiantandole a quelle locali. In And This Race Staggered Under The Weight of One Basic Element o When Souns Clash, Vibez Expand strisce di immagini fotografiche e altre nascoste da punti bianchi di colore si alternano creando un intreccio che ricorda un ricamo, dove si sfidano luce e ombra, vero e falso e l’apparenza rivela i suoi veri contorni e la realtà viene scarcerata dalla falsità fotografica. A seguire i lavori Derrick Adams e quelli di Alexandria Smith. Mentre Adams concentra la sua ricerca sulla relazione atipica che intercorre tra l’individuo e la cultura popolare e mediatica, Smith invece realizza delle tele formative dove miscela un mix di ingredienti quali ricordi, memoria ed esperienze di vita personale creando un esplosione di storie che schiariscono il processo di crescita e di formazione appunto di quella sentita come black identity. Tecnicamente simili ma contestualmente totalmente agli antipodi, da una parte si ammirano piscine, gonfiabili e particolari corporei (Floater 50(ducky with glasses), Floater 70) dall’altra particolari femminili di donna decomposti e frammentati ((S)kin folk). La mostra si chiude con le due opere dell’artista dominicana-haitiana Firelei Bàez: la prima Untitled una composizione di disegni e schizzi che fanno intravedere un mondo fantastico al cui interno prende forma il gioco dell’identità e del confine inteso come barriera fisica e mentale; la seconda Coltello, chucillo, knife suggestiva installazione scultorea inserita all’interno del cortile della galleria un manichino con fattezza femminili si decompone e frammenta inframezzato da una scala e da una serie di coltelli che immobili, ma fatali gli penzolano accanto volteggiando nel vuoto, e la testa è sormontata da quello che era un orologio ora rotto con le lancette ferme e i vetri a pezzi.

L’identità non è solo un’idea astratta, ma un senso di appartenenza e condivisione che unifica, condiziona e mette in contatto persone totalmente diverse almeno sulla carta. Combattere per essere ciò che si è, e per essere compresi e integrati nella società senza dover modificare se stessi e la propria origine è un dovere non solo civico, ma anche morale. In questo modo la mostra Postcard from New York si pone come un punto di riferimento per ricordare, riflettere e discutere come è oggi, e come si è modificata nel tempo la vita degli afro-americani in particolare in America e in generale nel mondo, dopo le infinite lotte e le proteste perpetrate durante i secoli per rivendicare la propria identità sociale e la parità di essa con l’identità bianca. Vincere questa battaglia ha significato la fine della barbarie dello schiavismo e l’arrivo dell’agognata libertà, il diritto di essere cittadini e mai più schiavi. Annotare ed appuntare quindi le condizioni tra passato e presente è ciò che l’arte è chiamata a fare oggi come depositaria del sapere e mezzo di riflessione per costruire un mondo tollerante e migliore.

La mostra continua:
Galleria Anna Marra Contemporanea
Via Sant’angelo in pescheria, 32 – Roma
dal 6 giugno al 27 luglio 2018

Postcard from Ney York – part II
a cura di Larry Ossei-Mensah e Serena Trizzino
artisti: Derrick Adams, Firelei Bàez, Abigail Deville, Alexandria Smith, Paul Anthony Smith, William Villalongo